mercoledì 13 febbraio 2013

Come sarà il capitalismo cinese?

Jinping, il nuovo Segretario del partito comunista cinese, ha fatto il suo primo viaggio ufficiale dopo la nomina a Shenzen, città industriale, trasformata in zona economica speciale nel 1980, simbolo della trasformazione del Paese e laboratorio delle riforme verso il mercato. Il gesto ha una forte valenza simbolica, in marcato contrasto con il suo predecessore Hu Jintao che inaugurò invece la propria leadership con una gita a Xi Baipo, una delle basi rivoluzionarie di Mao.
Oltre i simboli, non è chiaro quale sarà la direzione di marcia che verrà impressa dal nuovo leader. La Cina è ormai giunta a una fase cruciale nell'evoluzione della sua peculiarissima "economia di mercato socialista". Per quanto il 70% del suo prodotto interno lordo sia riconducibile al settore privato e gli stimoli del mercato pervadano tutto il Paese, in realtà il loro moto è ancora tenuto a briglia stretta dal Partito, che controlla gran parte delle leve economiche. Lenin sosteneva che nelle economie di mercato le vette del processo decisionale erano nelle mani dei capitalisti e nelle economie socialiste in quelle del Partito. La Cina è riuscita a fare un frullato denso e indistinguibile di questi due sistemi di governo. Ma probabilmente nei prossimi anni dovrà separarne i composti. Un lavoro molto esaustivo condotto dal National Bureau of Economic Research americano e dall'Institute of Economics and Finance di Hong Kong, coordinato da Joseph Fan e Randall Morck, ha setacciato tutti i nodi cruciali del sistema economico cinese per identificare dove siano in effetti collocate le leve del comando. Il libro parla soprattutto di governance e di regole e analizza i processi decisionali nelle aziende grandi e piccole, la finanza, la regolamentazione dei mercati, l'accumulo di risparmi delle famiglie e delle imprese. E conclude appunto che il ruolo dello Stato è ancora essenziale.
Ad esempio il Partito Comunista Cinese gestisce tutte le nomine del management di alto livello nelle banche, nelle aziende di Stato e in molte società private, oltre che, naturalmente, nelle agenzie di regolamentazione. La carriera di un giovane brillante può alternare posizioni nel business e nell'amministrazione pubblica. Questo avviene anche negli Stati Uniti e in Europa. Ma diversamente dall'occidente, in Cina la progressione professionale dipende di fatto da un unico organismo e dunque dalle dimostrazioni di lealtà verso il partito. I francesi definiscono questo processo pantouflage, sciabattare, ossia come passare da una stanza all'altra di casa, una processo molto interno senza visibilità, regole e controlli. La forza del sistema cinese è che la carriera comunque si fonda sul merito, ma è una selezione che per quanto severissima non sempre riflette le direzioni del mercato.
Se poi consideriamo le imprese quotate sulla borsa cinese, secondo lo studio del National Bureau, circa due terzi di queste sono a controllo pubblico. Il rimanente terzo è fatto da un mix di imprese private o filiali delle stesse imprese pubbliche. A prescindere dall'azionista di riferimento, tutte queste società hanno una governance strutturata a tre livelli. Un board duale alla tedesca (consiglio di gestione e sorveglianza) e un comitato del Partito comunista, guidato da un segretario. Il comitato svolge un ruolo importantissimo in tutte le decisioni strategiche e può revocare le decisioni dell'amministratore delegato e dei consigli di amministrazione.
Ovviamente una grandissima parte del l'economia cinese è fatta di piccole e medie imprese non quotate, dove la proprietà privata è molto più diffusa. Ma anche in queste i fili di controllo del partito sono presenti, anche se in modo più blando. Comunque sia, ciascuna impresa opera poi in un sistema di regole, con autorità e leggi spesso poco trasparenti e poco allineate con il mercato. Ad esempio il codice di Corporate Governance è disegnato su standard occidentali, ma la nomina e le carriere dei giudici ancora una volta dipendono dal Partito che ha anche la facoltà di rovesciare le decisioni dei tribunali.
Ora il peculiarissimo frullato di mercato sociale cinese è stato certamente una formidabile ricetta di sviluppo e di transizione non traumatica. Ma non è chiaro come debba evolvere per il futuro. Non bisogna infatti dimenticare che la Cina è ancora un Paese a reddito medio basso. Per quanto diverse stime prevedano che il prodotto interno lordo supererà gli Stati Uniti nel 2015, questo deve essere diviso per un miliardo e trecento milioni di persone. Il reddito pro capite è oggi pari a circa 3.700 dollari (a parità di potere d'acquisto), contro i 46mila dell'America e i 17mila della Corea del Sud. La Cina, dunque, sarà presto la più grande economia del mondo, rimanendo un Paese a reddito medio basso. E dunque, paradossalmente, il suo mercato sociale, se ancora tale, sarà il sistema istituzionale nazionale più importante del pianeta.
In realtà, più l'economia cresce e diventa complessa, più saranno necessari sistemi di controllo decentrati. Diversi economisti sottolineano come i Paesi emergenti abbiano bisogno di meno leader di azienda veramente capaci e innovativi di quanto non sia necessario a sostenere la crescita delle economie mature. Le operazioni economiche da mettere in atto, le attività di impresa sono più semplici e si possono basare su tecnologie e procedure importate. Quando la Cina avrà raggiunto la Corea del Sud la riproduzione di attività già pronte e definite non sarà sufficiente. Bisognerà innovare, mettere a punto prodotti di qualità superiore in molti settori e per farlo ci vorrà capitale, un sistema che premi la creatività e si possa permettere di far scomparire attività inefficienti.

Insomma più mercato e meno sociale, il frullato dovrà a poco a poco cambiare colore. La sostenibilità dello straordinario sviluppo del Paese dipenderà dal successo di questa transizione. Detto questo come il mercato sociale cinese si è dimostrato un esperimento istituzionale totalmente innovativo, è molto probabile che anche la sua evoluzione in chiave occidentale ci riserverà sorprese e soluzioni che ancora oggi non siamo in grado di prevedere.
barba@unimi.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Capitalizing China, a cura di Joseph
P.H. Fan e Randall Morck, The University of Chicago Press e Nber, pagg. 402, $ 110,00


Tratto da: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2012-12-23/come-sara-capitalismo-cinese-081851.shtml?uuid=AbxZGcEH

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