venerdì 14 dicembre 2012

Fisica Quantistica e Biologia - Emilio del Giudice

Emilio del Giudice interviene in occasione della conferenza "Soffocare. Strategie per la sopravvivenza".
Nel suo intervento offre nuove prospettive, derivanti dalla fisica quantistica, sull'organismo vivente e il suo funzionamento.
In conclusione si comprende come, anche dal punto di vista della fisica, il futuro dell'economia sia la cooperazione...


domenica 9 dicembre 2012

Non si deleghi all’industria l’educazione alimentare

Il ministero di Istruzione, università e ricerca aderisce a un programma di formazione nelle classi gestito dai big della produzione di alimenti. “Le strade giuste sono altre”, indica il celebre oncologo dell’Istituto dei tumori Franco Berrino

L’accordo è fresco: dall’anno scolastico 2012-2013 è attivo il programma di educazione alimentare Il gusto fa scuola, promosso da Federalimentare con l’avallo del Miur, Ministero di Istruzione, università e ricerca,tramite un protocollo d’intesa firmato lo scorso 25 luglio dal ministro Francesco Profumo e il presidente della Federazione italiana dell’industria alimentare Filippo Ferrua Magliani. In tutto sono coinvolti 77mila scuole, per 1,6 milioni di alunni: nel sito web collegato all’iniziativa, tra le varie sezioni si possono trovare informazioni utili su salute e stili di vita, sostenibilità alimentare e alcuni consigli ai giovani per mantenersi in forma. “Ma è sbagliato delegare all’industria l’educazione alimentare”, interviene l’oncologo Franco Berrino, già direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e noto a livello internazionale per le sue linee guida per una corretta dieta anti-cancro. Mercoledì 5 dicembre 2012 a Milano, in una serata dedicata proprio al tema nutrizione a scuola chiamata ‘Dalla parte dei bambini’, Berrino ha parlato davanti a 300 persone e altrettante collegate in streaming.

Perché il Miur è arrivato a stringere un accordo di collaborazione di formazione scolastica sul cibo proprio con l’industria alimentare?

Principalmente per ignoranza, nel senso che al ministero sembra non conoscano i tanti studi in materia su quanto sia controproducente delegare all’industria alimentare un tema importante come l’educazione scolastica, dato che molti cibi del settore sono scorretti per una sana dieta, in particolare nell’età scolastica. È un tema politico prima di tutto, quindi: il ministero dovrebbe affidarsi ad altri attori.

Quali, per esempio?
Una soluzione che noi raccomandiamo è riconoscere il valore educativo generato dalla diffusione dei Gas, Gruppi di acquisto solidale, e in generale di tutte quelle esperienze che facilitano il rapporto diretto con il produttore in carne ed ossa (una delle esperienze attive in tal senso è ‘Per una pedagogia della terra’, in alto a destra il link all’articolo, ndr) . Dico questo nella logica che bisogna uscire dall’imperialismo pubblicitario del mercato delle multinazionali del cibo, dei supermercati e della mentalità da fast food: si facciano conoscere agli studenti i cibi veri, è questa la strada che consigliamo al ministero, per difenderli dall’aggressione mediatica.

L’industria promuove comunque azioni di prevenzione alimentare. Non è pensabile una collaborazione?
Certo che lo è, così come è nell’interesse dei grandi marchi produrre cibi sani o fare informazione per un consumo responsabile, si vedano per esempio le azioni di Rio mare o Nestlé in vista di Expo 2015. Però già il punto di partenza è difficile, perché il cibo spazzatura rende di più a livello economico, quindi scegliere strade alternative per loro rientra comunque in una logica di mercato, quella della vendita dei prodotti.

Dal punto di vista della scuola, quali azioni si possono mettere in campo?
Per quanto riguarda il programma in questione, se il ministero ha deciso così, si possono però mettere in guardia presidi, insegnanti e genitori sui rischi di una tale collaborazione e sull’opportunità di evitare ingerenze dannose. Hanno buon gioco le aziende interessate a dire ‘non mangiate più di due merendine al giorno’ oppure ‘non bevete più di due coche al giorno’, perché l’importante per loro è il consumo medio, ovvero che tutti ne consumino un po’. Riguardo a questo, noi continueremo a lavorare per aumentare la coscienza generale e raccomandare l’utilizzo di prodotti alimentari non dannosi per la salute.

Oggi la crisi morde e le famiglie diminuiscono la spesa per il cibo. C’è il pericolo che guardino ancora di meno alla genuinità di quello che comprano?
Per evitare questo la raccomandazione è affidarsi a una dieta prevalentemente vegetale, che comunque non pesa in modo eccessivo sulle famiglie e permette di stare bene. Intendo prodotti semplici come farro, orso, riso, legumi e cibi a base di grano. Inoltre oggi il biologico è arrivato a un buon grado di competitività e quindi va scelto, anziché lasciarsi vincere dal cibo spazzatura.



Tratto da: http://www.vita.it/societa/scuola/non-si-deleghi-all-industria-l-educazione-alimentare.html











mercoledì 5 dicembre 2012

Le cooperative battono la crisi: i dati del primo rapporto sulla cooperazione in Italia

Una straordinaria crescita occupazionale. L’occupazione nelle cooperative ha continuato a crescere anche nei primi nove mesi del 2012 (+2,8%), portando il numero degli addetti delle circa 80.000 imprese del settore a quota 1.341.000 (+36.000 rispetto all’anno precedente). Si conferma così un trend positivo e l’andamento anticiclico di questo segmento produttivo. Negli anni della crisi, tra il 2007 e il 2011, a fronte di un calo dell’1,2% dell’occupazione complessiva e del 2,3% nelle imprese, gli occupati nelle cooperative hanno registrato un aumento dell’8%. Le cooperative contribuiscono al 7,2% dell’occupazione creata dal sistema delle imprese in Italia. I settori in cui forniscono l’apporto più rilevante sono il terziario sociale (dove il 23,6% dei lavoratori è occupato in cooperative), in particolare il comparto sanità e assistenza sociale (49,7%), i trasporti e la logistica (24%), i servizi di supporto alle imprese (15,7%). Le cooperative presentano anche una struttura dimensionale più ampia rispetto alle imprese tradizionali: a fronte di una media di 3,5 addetti per impresa, le cooperative ne contano 17,3. È quanto emerge dal «1° Rapporto sulla cooperazione in Italia» realizzato dal Censis per l’Alleanza delle Cooperative Italiane.

QUI la sintesi dello studio.
QUI lo studio completo.

Bene le cooperative sociali, in difficoltà l’edilizia. A fare da traino alla crescita dell’occupazione sono state le cooperative sociali, che hanno registrato un vero e proprio boom di addetti nel periodo 2007-2011 (+17,3%), proseguito nell’ultimo anno (+4,3%). Anche l’ampia area del terziario (commercio e distribuzione, logistica e trasporti, credito, servizi alle imprese) ha registrato un +9,4% di occupati nel quadriennio della crisi e un +3,4% nel 2012. Il settore agricolo invece è rimasto sostanzialmente fermo nel quadriennio (+0,5%) ed è in forte affanno nell’ultimo anno (-3,8%). E non si arresta la crisi del comparto edile: -9,3% gli occupati nel periodo 2007-2011 e -1,6% nel 2012.

La reazione alla crisi. Il mondo della cooperazione è stato capace di reagire positivamente alla crisi, difendendo l’occupazione e cercando nuovi spazi di mercato. Secondo l’indagine del Censis, la maggioranza delle cooperative (il 40,2%) sta attraversando una fase stazionaria, il 24,6% vive un periodo di consolidamento, il 17,4% è in crescita e solo il 17,7% si trova in gravi difficoltà. Le più colpite dalla crisi sono le piccole cooperative, meno attrezzate per rispondere alla difficile congiuntura. Il 31% delle cooperative con meno di 10 addetti (contro il 14,6% di quelle con 10-19 addetti, il 10,5% di quelle con 20-49 addetti e l’8% di quelle con più di 50 addetti) si trova in una fase di ridimensionamento.

I ritardi della Pa, principale ostacolo allo sviluppo. Al primo posto tra le problematiche che hanno condizionato gli ultimi anni di attività delle cooperative ci sono i ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione (lo dichiara il 34,4% delle imprese), poi il calo della domanda (32,3%), i ritardi nei pagamenti da parte dei clienti privati (26%), il costo eccessivo di carburanti ed energia (24,9%).

Le previsioni per il 2013. La maggioranza delle cooperative si prepara ad affrontare il nuovo anno con la sensazione che si dovrà attendere ancora per arrivare a una effettiva ripresa. Gli obiettivi prioritari delle cooperative per l’immediato futuro vedono al primo posto la riduzione dei costi (41,2%) e l’accesso a nuovi mercati (35,3%).

Un settore a forte vocazione femminile. Le donne rappresentano il 52,2% dell’occupazione nelle cooperative e ricoprono il 29,1% dei posti nei consigli di amministrazione. Nel 17,9% delle cooperative più della metà degli occupati e dei consiglieri di amministrazione è costituita da donne. Le cooperative a prevalenza femminile sono presenti soprattutto nel sociale (51,2%) e nei servizi (30,9%).

Fiducia e radicamento nel territorio, valori fondanti. Tra i fattori di competitività indicati dalle cooperative c’è al primo posto il rapporto di fiducia con utenti e consumatori (64%), poi il forte radicamento nel territorio (48,5%), la qualità dei prodotti e servizi offerti (35,5%), il coinvolgimento delle risorse umane (32,8%). Forte è la rivendicazione di una cultura e una prassi aziendali diverse da quelle che ispirano l’azione delle imprese tradizionali, più attente al valore della persona e alle relazioni umane.

La persona al centro del modello d’impresa. Le cooperative riconoscono il valore delle proprie risorse umane – i soci – come elemento fondante della propria identità. Diverse sono le pratiche adottate per venire incontro alle esigenze dei lavoratori e per promuoverne la crescita professionale. La maggioranza delle cooperative (il 56%) è impegnata nel garantire un’organizzazione del lavoro flessibile che permetta autonomia e incentivi la responsabilizzazione, il 37% porta avanti programmi di promozione della crescita professionale dei giovani soci attraverso corsi di aggiornamento e promozioni di carriera, il 16,2% ha adottato misure volte a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per le donne (asili nido in azienda, banche delle ore), il 7,9% strumenti di welfare integrativo per i propri dipendenti (fondi pensionistici, sanità complementare), il 7,4% meccanismi di supporto per gli immigrati che lavorano nella cooperativa. È forte anche l’impegno per far crescere la cultura cooperativa: il 33,6% ha adottato misure per favorire una maggiore partecipazione dei soci alle assemblee (dislocazione in più sedi, orari favorevoli alle donne) e il 30,5% strumenti di formazione destinati ai soci.

Guardare oltre confine. Le cooperative sono generalmente poco orientate a operare sui mercati esteri: complessivamente, solo il 7,4% esporta e il 2,2% è impegnato in joint venture con imprese straniere. Il primato dell’internazionalizzazione spetta all’agroalimentare, dove il 26,3% delle cooperative è presente all’estero. Se il principale mercato di riferimento per chi opera all’estero è quello comunitario, si segnala una significativa presenza anche nei mercati extra Ue, in particolare Stati Uniti e Canada (il 19,4% delle cooperative presenti all’estero), Russia e Paesi dell’Est (15,7%), Corea e Giappone (12,2%), Cina (10,4%), Medio Oriente e Paesi del Golfo (10,4%), Nord Africa (10,3%). Il 12,9% delle cooperative che attualmente non sono presenti all’estero intende avviare nei prossimi anni iniziative oltre i confini nazionali.

La cooperazione, un modello innovativo per la ripresa. Il sistema delle cooperative ha dimostrato una buona capacità di tenuta di fronte alla crisi e ora può costituire per il Paese un valido modello di riferimento per la ripresa. Ne sono convinti i cooperatori: il contributo più importante che la cooperazione può dare è per il 30,3% il ruolo in termini di tenuta occupazionale, per il 26,1% la promozione di un modo di fare impresa diverso da quello tradizionale, più attento al valore della persona e della comunità, per il 19,1% lo sviluppo di modelli di gestione dei servizi più orientati alla partecipazione e alla responsabilizzazione degli utenti finali, per il 12% la tendenza a intervenire in settori nuovi in cui si concentrano maggiori possibilità di sviluppo, per il 10,6% la capacità di presidiare i settori in cui il ruolo pubblico tende a venire meno.


Questi sono i principali risultati del «1° Rapporto sulla cooperazione in Italia», realizzato dal Censis per l’Alleanza delle Cooperative Italiane, che è stato presentato oggi a Roma da Giuseppe Roma, Direttore Generale del Censis, e discusso da Luigi Marino, Presidente dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, Giuliano Poletti e Rosario Altieri, Copresidenti dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, con le conclusioni di Corrado Passera, Ministro dello Sviluppo Economico, delle Infrastrutture e dei Trasporti.


Tratto da: http://cooperazioneintoscana.blogspot.it/2012/11/le-cooperative-battono-la-crisi-i-dati.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+GenereGenerazioniEGentiNellaCooperazioneToscana+%28Genere+Generazioni+e+Genti+nella+cooperazione+toscana%29

lunedì 3 dicembre 2012

«Il meglio dell’Italia deve lavorare con la cooperazione sociale»

«Il meglio dell’Italia può, anzi, deve lavorare con la cooperazione sociale», prima di pronunciare queste parole Santo Versace schiarisce la voce, solitamente roca. Ci tiene, e si vede, a ribadire il concetto. Questa mattina a Roma al Palazzo delle Cooperazione, Federsolidarietà-Confcooperative e la Fondazione Altagamma, l’organizzazione che riunisce le aziende dell’eccellenza italiana e i marchi più famosi sui mercati internazionali, hanno presentato un protocollo per promuovere progetti comuni.

«Un’iniziativa», spiega Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà-Confcooperative, «che nasce con l’obiettivo di favorire l’incontro e lo scambio tra il mondo della cooperazione sociale e il mondo delle imprese dei grandi marchi dell'alta qualità del made in Italy. Un’opportunità per coniugare l’eccellenza della qualità d’impresa e di prodotto, con il valore sociale e valorizzare le iniziative di welfare aziendale per il benessere delle persone occupate e delle loro famiglie»

Che la partnership abbia tutte le carte in regola per funzionare lo dimostrano le esperienze ormai consolidate che vedono lavorare fianco a fianco alcuni grandi marchi del made in Italy e le cooperative sociali.

In Calabria il consorzio cooperative Goel, attivo nella Locride, realizza capi sartoriali per lo stesso Versace, a Modena la cooperativa sociale di tipo B Alecrimwork realizza gadget ed eroga servizi alla Ferrari mentre a Trieste il consorzio cooperativo Arca gestisce l’asilo aziendale della Illycaffè.

«Questi», aggiunge Guerini, «sono solo alcuni degli esempi del percorso comune che imprese e cooperative sociali possono fare insieme. Questo protocollo deve essere per noi uno stimolo al miglioramento continuo, dall’eccellenza dell’imprenditoria italiana dobbiamo imparare a fare bene del bene».