giovedì 28 febbraio 2013

Sapelli, mandare messaggi rassicuranti a mercati e non demonizzare Grillo

L'economista a Labitalia: "Governo di emergenza per un anno per fare le riforme essenziali e cambiare la legge elettorale".

Roma, 26 feb. (Labitalia) - Le urne sono chiuse e i risultati ormai noti, ma per cortesia non parliamo di 'ingovernabilità': meglio trovare un accordo tra le forze presenti nel Parlamento su 3-4 riforme essenziali (tra cui quella elettorale), mandare avanti per un anno un 'governo di emergenza' e solo dopo andare a rivotare. E soprattutto occorre mandare "messaggi rassicuranti ai mercati senza demonizzare Grillo". Sono i consigli, il "messaggio in bottiglia" che, con Labitalia, lancia al nuovo quadro politico Giulio Sapelli, professore ordinario di Storia economica presso l'Università degli studi di Milano, dove insegna anche Analisi culturale dei processi organizzativi.
Sapelli, che ai temi delle patologia dei mercati e della necessità della loro trasparenza istituzionale, organizzativa ed etica, ha dedicato molti lavori, spiega che "la reazione economica al voto molto dipenderà dai messaggi che i 3 poli daranno, e dico 3 perchè dei 4 poli che c'erano uno è ormai inesistente: quello di Monti, proprio quello che doveva rassicurare i mercati, ammesso che questi 'mercati' esistano".

"Personalmente, non prevedo grossi cambiamenti -sostiene l'economista- nell'orientamento dei mercati: penso che quella tendenza che si è verificata qualche mese fa, di ritorno a un interesse sull'euro, si mantenga stabile e che i segnali di queste ore siano volatilità derivate soprattutto da un nervosismo e spesso dalle divergenze delle forze politiche che hanno perso, soprattutto dal Pd e Monti". Chi ha perso, osserva Sapelli, "esorcizza la propria sconfitta dicendo che Grillo è una cosa terribile, ma prorio loro dovrebbero ricordarsi che trent'anni fa quando si protestava c'erano dei signori (che poi hanno fatto anche carriera) che dicevano alla gente di sparare e di mettere le bombe". "Adesso - prosegue - sono stati fatti dei passi avanti nel processo democratico e Grillo dice di votare e di andare in Parlamento o in Comune. E quando questo accade in una situazione in cui abbiamo 3 milioni di disoccupati, il 37% dei giovani sotto i 25 anni disoccupato e un terzo che fa lavori precari, mi sembra che ciò dimostri che il consolidamento democratico in Italia è irreversibile".

Insomma, spiega bene Sapelli, "la demonizzazione di Grillo non fa bene nè alla politica nè ai cosiddetti mercati che si impressionano". Ma con questi numeri alla Camera e al Senato cosa bisogna fare? "Bisogna -risponde Sapelli- che tutti si assumano le responsabilità: l'unica cosa è fare quello che si può chiamare, con nomi diversi, governo di minoranza appoggiato dall'opposizione o governo di unità nazionale. Il Pd e il Pdl diano cioè vita a un governo che dura un anno, di emergenza, e poi si torni a votare con una legge elettorale nuova". Questo governo dovrebbe fare, dice, "alcune riforme essenziali come la riforma elettorale, e poi dovrebbe dimezzare il numero di parlamentari, abolire le Province, concordare dei punti minimi per andare in Europa e rinegoziare insieme alla Francia e agli altri Paesi le misure di austerità varate con l'ultimo bilancio europeo che sono un monumento alla pazzia".

Sapelli invita a riflettere sull'"affermazione di Grillo, un partito che al primo colpo ha preso il 25%, quota a cui neanche Forza Italia arrivò alla prima uscita: prese il 21%, pur dispondendo di molte risorse".

Insomma, conclude il professore, "bisogna avere nervi saldi e trasmettere al mercato messaggi rassicuranti". Perchè "se Bersani e Monti cominciano a dire 'sono arrivati gli Unni', cosa devono fare le borse?". E "andare nuovamente al voto -osserva Sapelli- sarebbe una cosa tragica: allora sì che si potrebbe davvero rischiare il default".

Infine, ci tiene a sottolineare Sapelli, è "vergognoso da un punto di vista costituzionale che Mario Monti non si dimetta da senatore a vita". "Una persona che ha una deontologia dovrebbe sedere sugli scranni del Parlamento ma solo dopo -conclude- essersi dimesso da senatore a vita, che rappresenta il popolo sovrano".


Tratto da: http://www.adnkronos.com/IGN/Lavoro/Politiche/Sapelli-mandare-messaggi-rassicuranti-a-mercati-e-non-demonizzare-Grillo_314222757812.html

lunedì 25 febbraio 2013

Discorso all'Umanità - José Mujica - Rio+20



José Pepe Mujica, Presidente dell’Uruguay: un mito



Un mito. Non so definirlo altrimenti. José Pepe Mujica è un mito. In un mondo in cui la gente si scanna per il potere, per l’accumulo di beni materiali, lui, Presidente dell’Uruguay, si trattiene solo 485 dollari dello stipendio per vivere e destina gli altri 7500 alla beneficenza. Vive di poco, anzi di pochissimo, in una vecchia fattoria senza neppure l’acqua corrente, ma solo l’acqua del pozzo. È vegetariano, è sposato, ha un cane. Se non fosse per due energumeni che gli montano la guardia all’inizio della proprietà, nessuno potrebbe immaginare che lì ci vive il presidente della nazione. Alla BBC ha dichiarato “Mi chiamano il presidente più povero, ma io non mi sento povero. I poveri sono coloro che lavorano solo per cercare di mantenere uno stile di vita costoso, e vogliono sempre di più. E’ una questione di libertà. Se non si dispone di molti beni allora non c’è bisogno di lavorare per tutta la vita come uno schiavo per sostenerli, e si ha più tempo per se stessi”. Mujica ha un passato di sinistra nei Tupamaros, un famoso gruppo di combattenti che si ispirava negli anni sessanta-settanta del secolo scorso alla rivoluzione cubana. Per la sua fede ha trascorso 14 anni in carcere.

È qualunquista fare un raffronto tra Mujica ed il nostro comunista migliorista Napolitano, che vive al Quirinale e guadagna 239.192 euro all’anno, aumentati di 8.835 euro nell’anno in corso?

È qualunquista fare un raffronto tra Mujica, che ha rischiato la vita e conosciuto la galera e che dichiara che un politico dovrebbe vivere come la maggioranza dei propri concittadini, con i nostri ex comunisti ed attuali neoliberisti D’Alema, con il suo yacht ormeggiato a Gallipoli, o Fassino, sindaco della città più indebitata d’Italia, con il suo reddito imponibile (anno 2010) di 126.452 euro?

Sì, avete ragione, è qualunquista. Scusatemi. Ed allora veniamo al mio campo: l’ambiente. Mujica ha pronunciato a braccio alla Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile Rio+20, il 21 giugno 2012, un discorso rivoluzionario, come solo i grandi uomini sanno pronunciare, in cui ha denunciato l’assurdità del mondo in cui viviamo. Questi alcuni passi del suo discorso: “Veniamo alla luce per essere felici. Perché la vita è corta e se ne va via rapidamente. E nessun bene vale come la vita, questo è elementare. Ma se la vita mi scappa via, lavorando e lavorando per consumare un plus e la società di consumo è il motore, perché, in definitiva, se si paralizza il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia, appare il fantasma del ristagno per ognuno di noi. Ma questo iper consumo è lo stesso che sta aggredendo il pianeta. I vecchi pensatori – Epicuro, Seneca o finanche gli Aymara – dicevano: povero non è colui che tiene poco, ma colui che necessita tanto e desidera ancora di più e più. Queste cose che dico sono molto elementari: lo sviluppo non può essere contrario alla felicità. Deve essere a favore della felicità umana; dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, dell’attenzione ai figli, dell’avere amici, dell’avere il giusto, l’elementare. Precisamente. Perché è questo il tesoro più importante che abbiamo: la felicità!”

Esattamente quello che la saggezza suggerirebbe agli uomini: l’attuale modello di vita occidentale è sbagliato. Ma non bisogna cambiarlo perché un giorno neanche tanto lontano porterà all’estinzione dell’intera umanità: e chissenefrega, tutte le specie nascono e muoiono. Bisogna cambiarlo perché non porta la felicità oggi, in questo momento.

Ovviamente, il discorso del grandissimo José Pepe Mujica non ha avuto quasi risonanza sui media. Forse perché andava controcorrente rispetto a quanto pensano e dicono i grandi della Terra, controcorrente rispetto a globalizzazione e sviluppo? Ops, scusatemi, sono di nuovo caduto nel qualunquismo.


Tratto da: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/07/jose-pepe-mujica-presidente-delluruguay-mito/462971/

sabato 23 febbraio 2013

Farmers' cooperatives increase food security in Cuba

Yudiel Mojena Guerra, a young farmer from eastern Cuba, was given land from the government as part of a strategy to increase domestic food production. So he started working at a run-down dairy farm, refurbished it, and bought some livestock.

But like most workers in the non-state sector, he soon found out he needed not only start-up capital to introduce new technology, but also technical and management capabilities for efficient production.

To support farmers like Mojena, and to contribute to Cuba’s ambition to rely on domestic food production and increase food security, UNDP and the European Union developed a joint partnership with the Cuban Ministry of Agriculture.

Mojena is one of the 13,200 new farmers under this initiative, called PALMA (Programa de Apoyo Local a la Modernización del sector Agropecuario en Cuba). Since its start in 2009, the program has supported the modernization of local agriculture in 37 pilot municipalities in Cuba.

“It has helped me a lot, mostly in terms of knowledge acquisition and training,” Mojena says.

PALMA has provided farming tools and machines to farmers and cooperatives, and trained them on modern and sustainable farming, including training on cooperatives; and business management and planning.

These actions have helped enhance technical and economic management skills, develop a cooperative culture in over 4,000 members, and further introduce related tools like strategic and participatory planning at around 300 collectives.

For his part, Mojena has not only increased production on his farm through his training, he has also been able to help others.

“Local producers come here to build on my little experience, and I visit them to exchange good practices,” Mojena says. “The idea is to move forward.”

Mojena says he already has 105 heads of cattle, including 30 milking cows, sheep and goats.

“My plan is to continue expanding so that I can increase milk and beef production for local consumption and industry, and make more profits for me and my cooperative,” he says.

PALMA relies on the bottom-up methodology that takes into account the needs and experiences of the local producer, as witnessd by Osmany Castro Luna, a farmer from the province of Sancti Spiritus.

“The farmers are really those who know what you need in the rural areas, if you want to increase the output of crop- and cattle farming,” he says. “That is what this country badly needs for it to be able to substitute for food imports.”


Highlights:


- Cuba imports a large portion of its food – 80 percent in 2009 – and a new program is helping local farmers increase domestic production.
- More than 13,200 new farmers (14 percent women) and 366 cooperatives (6 percent of total) in different parts of Cuba have received agricultural equipment and training through this program.
- The cooperatives have been able to increase production of basic food products, such as milk, grains, fruits and tubers. In 2011 alone, this increased production replaced more than US $15 million worth of food imports.


Tratto da: http://www.undp.org/content/undp/en/home/ourwork/povertyreduction/successstories/in-cuba--farmers-cooperatives-increase-food-security-and-product.html

giovedì 21 febbraio 2013

Giulio Sapelli: le società quotate tra controllori, controllati e conflitti d’interesse

L'opinione del noto economista sul rapporto tra società quotate e indipendenza di chi deve monitorarle

Il problema dell’efficacia dei controlli interni alle società quotate o comunque di pubblico interesse, riproposto con drammatica gravità dal caso Montepaschi, si lega a quello dell’indipendenza di coloro che devono effettuare questi controlli. Personalmente, non ho mai voluto essere retribuito da chi dovevo controllare: mi sembra un’assurdità, e così rifiutai il compenso da presidente dell’audit committee dell’Unicredit Corporate Banking. Fui criticato, ma rimasi sulle mie posizioni.

Piuttosto, chiesi l’aumento dei compensi per tutti i consiglieri d’amministrazione, che prendevano gettoni ridottissimi, perché avevamo come sempre in questi casi grandi responsabilità civili e penali legate a quell’incarico. L’errore di fondo, però, è che il sistema sbaglia a configurare il criterio di «indipendenza» soltanto sincronicamente alla fase in cui il controllore è in servizio, si trova a esercitare il suo ruolo e non può avere rapporti di interesse diversi con l’ente che controlla, né possono averli i suoi parenti eccetera. Il criterio di indipendenza va esteso al tempo futuro. La maggioranza di coloro che siedono in strutture di controllo, finito il mandato, diventa consulente della società che controllava come avvocato, commercialista, advisor. Magari cambia società ma non gruppo. Basta guardare i nomi nei consigli d’amministrazione e nei collegi sindacali, sono sempre gli stessi che ruotano.

In mancanza di un freno inibitore di natura morale, si potrebbe impedire per 10 anni a chi fa il controllore di avere rapporti economici con gli ex controllati. Poi c’è da capire cosa s’intende per fare controlli: significa spulciare le carte, parlare con i funzionari dell’internal audit, indagare e investigare. Prevale invece un approccio burocratico-nominalistico. E i risultati si vedono. Un passo avanti è stato la legge 231, che responsabilizza anche le imprese come figure giuridiche rispetto ai reati commessi e ai danni causati. Ma la legge è stata poi gestita male e oggi è quasi inapplicabile.


Tratto da: http://economia.panorama.it/opinioni/giulio-sapelli-societa-quotate-controllori-controllati-conflitti-interesse

martedì 19 febbraio 2013

DEBITO/ Sapelli: dall’Ecuador "un’utopia" che incanta l’Italia

L’Ecuador, il più piccolo tra i paesi del Sudamerica, propone un nuovo modo di gestione del debito pubblico. Lo fa attraverso le parole del suo Presidente, l’economista Rafael Correa, intervenuto all'Università Bicocca di Milano nel corso degli incontri previsti con i rettori degli atenei lombardi. A lui è infatti stata assegnata una lectio magistralis dal titolo "L'esempio dell'Ecuador di fronte alla crisi del debito in Europa". La ricetta del Paese Sudamericano è tanto semplice quanto complessa: “Rifiutando di pagare quanto richiesto dai nostri debitori - ha detto Correa - abbiamo risparmiato e investito l’equivalente di due anni di nuove infrastrutture nel Paese”. Secondo il presidente ecuadoriano, questo metodo è applicabile in qualunque Paese, anche in quelli europei: “Bisogna avere coraggio per prendere decisioni politiche anche se questo può influire sul rating, sul rischio-Paese. Un’economia sociale e solidale con il mercato porta benessere al Paese”. Insieme al professor Giulio Sapelli, docente di Storia economica all’Università di Milano, commentiamo questa proposta.


Professore, cosa ne pensa?

Quello fatto da Correa è in sostanza lo stesso annuncio che aveva fatto anche l’Argentina alcuni anni fa attraverso la politica economica, certamente avventurosa, di Nestor Kirchner. Numerosi esperti della scienza economica ufficiale avevano preconizzato che, a seguito di questo, l’Argentina si sarebbe ritrovata isolata dal resto del mondo; eppure, come sappiamo, questo non si è mai verificato.


Quindi la posizione di Correa non la stupisce?

Non molto. Semplicemente Correa, ritrovatosi schiacciato dal debito estero, adesso si rifiuta di pagarlo, a fronte di una politica del Fondo monetario internazionale che in certi casi si è rivelata catastrofica. Abbiamo cominciato a capire quanto hanno sofferto i Paesi dell’America del Sud a causa del Washington Consensus (insieme di specifiche direttive di politica economica elaborate nel 1989 dall'economista John Williamson da destinare ai paesi in via di sviluppo che si trovassero in crisi economica, ndr) e per la politica del Fmi solamente quando le stesse regole sono state applicate in Grecia e in Portogallo.


Quanto si rischia però con una politica del genere?

Ovviamente molto, ma evidentemente tra la politica del Fmi e quella del rischio anche il popolo ecuadoriano preferisce di gran lunga la seconda ipotesi, ed è assolutamente comprensibile. Alcune conseguenze negative probabilmente ci saranno, l’Ecuador potrebbe essere espulso dal Wto oppure subire alcune forme di embargo, ma se Correa ha assunto tale posizione significa che può permetterselo, magari contando sul solido rapporto con il Brasile che vanta una politica economica molto autonoma.


È davvero applicabile una politica del genere anche in Europa, per esempio in Italia?

Credo proprio di no. L’Italia, come ben sappiamo, si ritrova con una “camicia di forza” chiamata euro, quindi una soluzione come quella dell’Ecuador non è assolutamente applicabile. Forse lo è in via assolutamente teorica, ma non possiamo non guardare alla realtà: nel contesto dell’Eurozona un’ipotesi del genere non è pensabile.


Come giudica comunque un atteggiamento di questo tipo nei confronti del debito estero?

Conosco molto bene il Sudamerica e devo dire che il neoliberismo del Washington Consensus ha distrutto gran parte dell’economia latinoamericana, così come l’avevano già indebolita anche le politiche protezioniste. Adesso, invece, fortunatamente si è capito che ad andare molto bene è un’economia mista come quella brasiliana. Anche se difficilmente applicabili altrove, esempi come questi risultano in tutti i casi molto interessanti.


In Islanda invece i cittadini hanno chiesto in un referendum che la Costituzione venga riscritta per impedire il ripetersi della crisi finanziaria del 2008. Vogliono una quota maggiore dei proventi da energia geotermica e pesca. Cosa ne pensa?

Personalmente sono favorevole a iniziative di questo tipo e credo che gli islandesi abbiano fatto bene a richiedere il referendum, ma anche in questo caso parliamo di un Paese molto piccolo, con pochi abitanti, un'immensa fonte di energia e una grande educazione civica. Hanno poi avuto la fortuna di non essere stati integrati nell’euro, quindi non hanno il nostro stesso vincolo.


Entrambi i casi sono quindi interessanti, ma solo sulla carta.

Esatto. Stiamo parlando di Paesi capaci di rialzarsi dopo essersi avvicinati pericolosamente al baratro, di cui possiamo certamente imitare una spiccata creatività con la quale far nascere idee di questo tipo che a noi evidentemente manca. La lezione da imparare è questa, certamente non di politica economica.


(Claudio Perlini)


Tratto da: http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2012/11/16/DEBITO-Sapelli-dall-Ecuador-un-utopia-che-incanta-l-Italia/338527/

lunedì 18 febbraio 2013

Nasce l'Ufficio di Scollocamento per Imprenditori

L'associazione Paea lancia un'iniziativa dedicata al mondo dell'impresa. L'Ufficio di Scollocamento per Imprenditori si rivolge a chi vuole emanciparsi e iniziare un percorso di 'disintossicazione' dal business fine a se stesso. Il primo incontro di orientamento si terrà dal 5 al 7 aprile al Parco dell'Energia Rinnovabile in Umbria.


La crisi economica nei paesi occidentali sta diventando strutturale. Molte aziende non sono più competitive e stanno chiudendo o saranno costrette a farlo nei prossimi anni. Tante persone, giovani e meno giovani, dovranno inventarsi un nuovo lavoro. E fra questi gli imprenditori.

Diventa quindi indispensabile un cambio di paradigma per trasformare la crisi in opportunità, per sviluppare un modello di vita più sostenibile incentrato sul valore sociale e umano dei nuovi beni e servizi che verranno creati. Motore del cambiamento sarà come sempre l’individuo che si organizza, da solo o con altri, per creare nuova ricchezza per la società in cui vive. L'imprenditore è per sua natura creativo, flessibile e orientato al cambiamento e dunque può iniziare questo cammino.

Nasce con queste premesse, a un anno dall'avvio del progetto dell'Ufficio di Scollocamento da parte dell'associazione PAEA , un'iniziativa tutta dedicata al mondo dell'impresa. L'obiettivo è quello di fornire agli imprenditori le informazioni necessarie per convertire le proprie aziende alle nuove richieste del mercato: prodotti più utili, sani, sostenibili e rispettosi dell'ambiente e dell'individuo.

L'Ufficio di Scollocamento per Imprenditori
si rivolge a chi vuole emanciparsi e iniziare un percorso di 'disintossicazione' dal business fine a se stesso , da un modello economico e di società che non gli appartiene più o che forse non gli è mai appartenuto. Spesso infatti gli imprenditori applicano modelli stereotipati non aderenti alle loro vere inclinazioni e sensibilità.

L'ufficio di Scollocamento per Imprenditori guarda a tutti quelli che vogliono impegnarsi per una nuova etica del lavoro e del fare impresa. Un cambio di vita che può essere radicale, lasciando il lavoro attuale e inventandosene uno nuovo, o graduale, iniziando a diversificare la propria attività cogliendo le opportunità che questa fase di cambiamento offre.



Il primo incontro si tiene dal 5 al 7 aprile 2013 presso il PeR – Parco dell’Energia Rinnovabile (Frattuccia – Terni), il più importante Centro in Italia che coniuga tecnologie alternative, energie rinnovabili, efficienza energetica, recupero e uso dell'acqua piovana, sede di un presidio Slow Food e di progetti innovativi.

Tra i relatori - testimoni ed esperti - ci saranno: Alessandro Ronca , imprenditore e fondatore del Parco dell'Energia Rinnovabile; Massimo Calì , creatore di un team di professionisti specializzati nella gestione delle crisi aziendali e nel supporto a imprenditori in difficoltà; Paolo Ermani, autore insieme a Simone Perotti del libro Ufficio di Scollocamento (Chiarelettere, 2012) e presidente dell'associazione PAEA; Emanuele Carissimi, fondatore e presidente del Gruppo Acquisto Terreni di Scansano; Randa Romero , psicologa e psicoterapeuta, formatrice esperta di pensiero creativo.


Tratto da: http://www.ilcambiamento.it/culture_cambiamento/nasce_ufficio_scollocamento_imprenditori.html




sabato 16 febbraio 2013

Il DEBITO PUBBLICO STATUNITENSE IN DIECI PUNTI

di Warren Mosler

1. Qualsiasi governo (pienamente sovrano), che sia l’emittente della sua valuta nazionale, non ha necessità di “guadagnare” denaro per pagare i propri debiti denominati in valuta nazionale come dobbiamo fare noi privati cittadini.

2. Per pagare i nostri debiti, utilizziamo quello che viene chiamato “corso legale”. Sappiamo che la contraffazione di valuta è un crimine. Quindi dobbiamo procurarcela guadagnando un reddito, o prendendola a prestito, oppure vendendo delle attività. Il denaro è un credito esigibile a vista nelle mani di chi lo detiene.

3. Quando un governo (pienamente sovrano) riceve da noi la valuta di sua emissione (moneta), riceve la stessa moneta che esso stesso ha emesso. Quindi non ottiene nulla che non possa creare lui stesso: il “prendere a prestito” del governo non è la stessa cosa del prendere a prestito del privato.

4. Quando il governo che emette la propria valuta “prende a prestito” del denaro da un soggetto privato, riceve il denaro precedentemente emesso in cambio di un “titolo del Tesoro”, chiamato anche “strumento di debito”. Così, il governo fa questo: sostituisce un credito immediatamente esigibile (che i titolari possono utilizzare su richiesta per pagare debiti al governo o ad altri soggetti privati) con un altro credito, un titolo del Tesoro, che non può essere utilizzato per effettuare pagamenti fino alla scadenza. I privati (che desiderano guadagnare un interesse su un’attività che sanno di poter vendere rapidamente se necessario) sono disponibili ad acquistarlo. In termini più semplici: se io uso 1,000 dollari del saldo del mio conto corrente bancario per acquistare un titolo del Tesoro, sto scambiando un credito di 1,000 dollari che potrei usare ora per pagare le tasse o per estinguere delle passività nei confronti di altri soggetti privati con un titolo che mi dà il diritto di ricevere un importo contrattualmente definito di denaro più gli interessi in date future contrattualmente definite.

5. Vero: i governi possono deliberatamente stabilire una varietà di limiti su quanto denaro possono “prendere in prestito”. Negli Stati Uniti, questo limite è dettato da un articolo del codice degli Stati Uniti. La logica, per quanto possa sembrare strano, è quella di stabilire un limite alla quantità di denaro che i soggetti privati sono autorizzati a convertire in titoli del Tesoro. In altre parole, se il governo ha raggiunto il limite, non può più offrire nuovi titoli del Tesoro e quindi i soggetti privati non possono più convertire il loro denaro in essi. Pertanto, contrariamente a quanto comunemente si crede, questo non causa un blocco dell’attività del governo o un’insolvenza sugli strumenti “di debito” federali.

6. I governi, tuttavia, possono anche stabilire dei limiti per le proprie spese. Negli Stati Uniti, la Fed non può offrire al Tesoro uno scoperto di conto corrente: quindi, se il Tesoro non può finanziare la propria spesa con entrate fiscali o con la vendita di “strumenti di debito”, non può spendere. Imporre un limite è una scelta politica che potrebbe causare un blocco dell’attività del governo o un default.

7. Di conseguenza, un blocco dell’attività del governo o un default è anche un evento che può essere causato unicamente da un autolesionistico rifiuto di effettuare pagamenti. I soggetti privati possono trovarsi in situazioni in cui il crescente indebitamento può costringerli a ridurre la spesa o a fare default sul proprio debito. Per contro, i governi con crescente indebitamento affrontano un’alternativa completamente diversa: onorare le proprie obbligazioni o rifiutarsi di pagarle.

8. Altri esempi di vincoli auto-imposti comprendono: il sistema basato sulla parità aurea (quando la moneta emessa non deve superare una certa quota delle riserve auree), il comitato valutario (quando la moneta emessa non deve superare una certa quota di riserve in valuta estera). L’unico vincolo che ha senso è quello di adattare la misura della differenza tra la spesa e le tasse in modo da non causare un eccesso di domanda aggregata rispetto alla capacità produttiva esistente, così da provocare inflazione.

9. Per finire (e non che questo abbia alcuna reale possibilità di accadere con l’attuale sistema di operatori sul mercato primaro), cosa pensate che potrebbe succedere se il governo degli Stati Uniti dovesse fronteggiare una situazione in cui ci sono pagamenti di interessi in scadenza per 1 milione di dollari, e il Tesoro avesse un saldo zero sul suo conto presso la Fed? Il governo degli Stati Uniti dichiarerebbe default e volontariamente distruggerebbe 1 milione di dollari di ricchezza finanziaria privata a tutti i possessori di titoli USA negli Stati Uniti e all’estero, oppure il Congresso degli Stati Uniti lascerebbe gestire al Tesoro una somma tratta allo scoperto e gli lascerebbe pagare i conti?

10. Prima di rispondere, considerate che a) l’opzione del default implica brutali danni finanziari e politici, b) aumentare il limite è tecnicamente e funzionalmente semplice, equo, e privo di conseguenze sul reale standard di vita.

Tradotto da Giovanna Pagani
Qui Testo Originale
http://www.mecpoc.org/wp-content/uploads/downloads/2010/12/U.S.-Public-Debt-in-10-Bullets5-_3_.pdf


Tratto da:http://memmt.info/site/il-debito-pubblico-statunitense-in-dieci-punti/





















giovedì 14 febbraio 2013

Giulio Sapelli - Attualità e Futuro

L'intervento integrale al convegno "La Cooperazione per un mondo migliore" di Riva del Garda del professor Giulio Sapelli, ordinario di storia economica all'Università degli Studi di Milano.

mercoledì 13 febbraio 2013

Come sarà il capitalismo cinese?

Jinping, il nuovo Segretario del partito comunista cinese, ha fatto il suo primo viaggio ufficiale dopo la nomina a Shenzen, città industriale, trasformata in zona economica speciale nel 1980, simbolo della trasformazione del Paese e laboratorio delle riforme verso il mercato. Il gesto ha una forte valenza simbolica, in marcato contrasto con il suo predecessore Hu Jintao che inaugurò invece la propria leadership con una gita a Xi Baipo, una delle basi rivoluzionarie di Mao.
Oltre i simboli, non è chiaro quale sarà la direzione di marcia che verrà impressa dal nuovo leader. La Cina è ormai giunta a una fase cruciale nell'evoluzione della sua peculiarissima "economia di mercato socialista". Per quanto il 70% del suo prodotto interno lordo sia riconducibile al settore privato e gli stimoli del mercato pervadano tutto il Paese, in realtà il loro moto è ancora tenuto a briglia stretta dal Partito, che controlla gran parte delle leve economiche. Lenin sosteneva che nelle economie di mercato le vette del processo decisionale erano nelle mani dei capitalisti e nelle economie socialiste in quelle del Partito. La Cina è riuscita a fare un frullato denso e indistinguibile di questi due sistemi di governo. Ma probabilmente nei prossimi anni dovrà separarne i composti. Un lavoro molto esaustivo condotto dal National Bureau of Economic Research americano e dall'Institute of Economics and Finance di Hong Kong, coordinato da Joseph Fan e Randall Morck, ha setacciato tutti i nodi cruciali del sistema economico cinese per identificare dove siano in effetti collocate le leve del comando. Il libro parla soprattutto di governance e di regole e analizza i processi decisionali nelle aziende grandi e piccole, la finanza, la regolamentazione dei mercati, l'accumulo di risparmi delle famiglie e delle imprese. E conclude appunto che il ruolo dello Stato è ancora essenziale.
Ad esempio il Partito Comunista Cinese gestisce tutte le nomine del management di alto livello nelle banche, nelle aziende di Stato e in molte società private, oltre che, naturalmente, nelle agenzie di regolamentazione. La carriera di un giovane brillante può alternare posizioni nel business e nell'amministrazione pubblica. Questo avviene anche negli Stati Uniti e in Europa. Ma diversamente dall'occidente, in Cina la progressione professionale dipende di fatto da un unico organismo e dunque dalle dimostrazioni di lealtà verso il partito. I francesi definiscono questo processo pantouflage, sciabattare, ossia come passare da una stanza all'altra di casa, una processo molto interno senza visibilità, regole e controlli. La forza del sistema cinese è che la carriera comunque si fonda sul merito, ma è una selezione che per quanto severissima non sempre riflette le direzioni del mercato.
Se poi consideriamo le imprese quotate sulla borsa cinese, secondo lo studio del National Bureau, circa due terzi di queste sono a controllo pubblico. Il rimanente terzo è fatto da un mix di imprese private o filiali delle stesse imprese pubbliche. A prescindere dall'azionista di riferimento, tutte queste società hanno una governance strutturata a tre livelli. Un board duale alla tedesca (consiglio di gestione e sorveglianza) e un comitato del Partito comunista, guidato da un segretario. Il comitato svolge un ruolo importantissimo in tutte le decisioni strategiche e può revocare le decisioni dell'amministratore delegato e dei consigli di amministrazione.
Ovviamente una grandissima parte del l'economia cinese è fatta di piccole e medie imprese non quotate, dove la proprietà privata è molto più diffusa. Ma anche in queste i fili di controllo del partito sono presenti, anche se in modo più blando. Comunque sia, ciascuna impresa opera poi in un sistema di regole, con autorità e leggi spesso poco trasparenti e poco allineate con il mercato. Ad esempio il codice di Corporate Governance è disegnato su standard occidentali, ma la nomina e le carriere dei giudici ancora una volta dipendono dal Partito che ha anche la facoltà di rovesciare le decisioni dei tribunali.
Ora il peculiarissimo frullato di mercato sociale cinese è stato certamente una formidabile ricetta di sviluppo e di transizione non traumatica. Ma non è chiaro come debba evolvere per il futuro. Non bisogna infatti dimenticare che la Cina è ancora un Paese a reddito medio basso. Per quanto diverse stime prevedano che il prodotto interno lordo supererà gli Stati Uniti nel 2015, questo deve essere diviso per un miliardo e trecento milioni di persone. Il reddito pro capite è oggi pari a circa 3.700 dollari (a parità di potere d'acquisto), contro i 46mila dell'America e i 17mila della Corea del Sud. La Cina, dunque, sarà presto la più grande economia del mondo, rimanendo un Paese a reddito medio basso. E dunque, paradossalmente, il suo mercato sociale, se ancora tale, sarà il sistema istituzionale nazionale più importante del pianeta.
In realtà, più l'economia cresce e diventa complessa, più saranno necessari sistemi di controllo decentrati. Diversi economisti sottolineano come i Paesi emergenti abbiano bisogno di meno leader di azienda veramente capaci e innovativi di quanto non sia necessario a sostenere la crescita delle economie mature. Le operazioni economiche da mettere in atto, le attività di impresa sono più semplici e si possono basare su tecnologie e procedure importate. Quando la Cina avrà raggiunto la Corea del Sud la riproduzione di attività già pronte e definite non sarà sufficiente. Bisognerà innovare, mettere a punto prodotti di qualità superiore in molti settori e per farlo ci vorrà capitale, un sistema che premi la creatività e si possa permettere di far scomparire attività inefficienti.

Insomma più mercato e meno sociale, il frullato dovrà a poco a poco cambiare colore. La sostenibilità dello straordinario sviluppo del Paese dipenderà dal successo di questa transizione. Detto questo come il mercato sociale cinese si è dimostrato un esperimento istituzionale totalmente innovativo, è molto probabile che anche la sua evoluzione in chiave occidentale ci riserverà sorprese e soluzioni che ancora oggi non siamo in grado di prevedere.
barba@unimi.it

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Capitalizing China, a cura di Joseph
P.H. Fan e Randall Morck, The University of Chicago Press e Nber, pagg. 402, $ 110,00


Tratto da: http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2012-12-23/come-sara-capitalismo-cinese-081851.shtml?uuid=AbxZGcEH

martedì 12 febbraio 2013

Nasce Gea, grandi appalti e nuovi posti di lavoro

Dal primo di marzo sarà operativa la fusione tra le cooperative di lavoro Povocoop81 e Pulicoop di Trento. La nuova società, da 8 milioni di fatturato, conta più di 500 dipendenti. In costruzione la nuova sede a Spini di Gardolo. Previste a breve 52 nuove assunzioni. Il 15 marzo un convegno sugli appalti pubblici.



“Bisogna avere il coraggio di misurarsi con un mercato competitivo che non concede nulla. Le imprese devono fare scelte di razionalizzazione, puntando sulla dimensione e sull’eccellenza dei servizi”. Così Diego Schelfi, presidente della Cooperazione Trentina, ha tenuto a battesimo stamani una nuova nata nel panorama delle cooperative trentine.

Si chiama Gea Trentina Servizi ed è il risultato della fusione di Povocoop81 e Pulicoop Trento. L’unificazione è stata sancita all’unanimità dai soci nel corso di due distinte assemblee straordinarie che si sono svolte a inizio dicembre alla presenza del notaio. La fusione decorrerà dall’1 marzo allo scadere, come prevede la legge, dei 60 giorni di deposito degli atti assembleari alla Camera di Commercio.

Una fusione virtuosa. Le due società sono giunte al processo di aggregazione per poter meglio razionalizzare le risorse interne, migliorare le prestazioni verso il cliente e avere maggiori capacità di investimento in settori di mercato sempre più soggetti a feroce concorrenza da parte di grandi ditte e cooperative extra provinciali.

Gea Trentina Servizi, che rappresenta una delle maggiori cooperative di lavoro operanti in Trentino, ha da subito dimostrato una particolare sensibilità al tema del lavoro. La fusione, nonostante la concentrazione di alcune funzioni, non ha prodotto esuberi. Già a breve termine l’organico - soci e dipendenti sono attualmente 500 - sarà integrato con qualche figura altamente qualificata.

A breve è prevista l’assunzione di 52 persone, prevalentemente donne. I lavoratori diventeranno il doppio nei prossimi anni se alcuni progetti, come l’appalto per il nuovo ospedale di Trento, andranno in porto.

Unite due realtà solide

L’operazione di fusione ha messo insieme due realtà solide, attive in una pluralità di settori. Povocoop81 ha conferito a Gea Trentina Servizi una robusta esperienza, competenze e contratti nel campo delle pulizie civili, dei servizi di portierato e front office, dell’ecologia e del verde (gestione di centri recupero materiali e di discariche, progettazione e manutenzione di giardini), dell’antincendio e sicurezza. Su quest’ultimo comparto, riferisce il presidente Alessandro Barbacovi, saranno concentrati in futuro importanti investimenti. Già oggi sono numerosi i clienti, soprattutto imprese industriali e uffici, di estintori e dispositivi per la sicurezza, ma il mercato potenziale è molto vasto. Nell’organico di Gea sono confluiti anche i 40 lavoratori di Povocoop81 impiegati nel “Progettone” in attività di ripristino ambientale e nella manutenzione di piste ciclabili.

A chiusura del bilancio 2012, l’ultimo della sua trentennale storia, la cooperativa di Povo ha fatto registrare un valore della produzione di 4 milioni di euro, più o meno lo stesso importo di Pulicoop Trento, che è attiva dal 1982. Le due società sono quasi coetanee. Pulicoop si è fatta un nome in Trentino come società specializzata nelle pulizie civili e industriali. Al momento della fusione contava 280 lavoratori, tra cui 40 dipendenti a tempo

indeterminato del “Progettone”. La presidente di Pulicoop, Fiorella Corradini, è diventata vicepresidente di Gea, con la delega per il settore pulizie: “ci siamo rimessi in gioco professionalmente, puntando sulle certificazioni di qualità oggi richieste dal mercato. Vinceremo la sfida con l’eccellenza”.

“La fusione - spiega Barbacovi - accrescerà la nostra capacità operativa e ci renderà più competitivi sul mercato, anche fuori provincia. Avremo maggiori opportunità di partecipare a grandi appalti. Potremo incrementare le risorse interne e migliorare la nostra capacità di investimento”. Un ruolo strategico sarà ricoperto dall’ufficio progettazioni e appalti, potenziato con l’assunzione di giovani tecnici, coordinati dal direttore allo sviluppo.

Proprio per approfondire il delicato tema degli appalti pubblici, soprattutto nel campo dei servizi, Gea organizzerà per il 15 marzo a Trento un convegno, che vedrà la partecipazione di importanti relatori impegnati istituzionalmente e di esperti nell’affidamento e gestione amministrativa di appalti di servizi dell’ente pubblico. Il convegno vuole essere un momento di conoscenza e di riflessione utile a chi, con diverse competenze e responsabilità, vive e lavora in questo ambito delicato ed essenziale della nostra economia.

Una nuova sede tecnologica ed ecologica

In previsione della fusione, nei mesi scorsi Povocoop e Pulicoop Trento hanno lasciato le sedi storiche di via Sommarive a Povo e di via Graz a Spini di Gardolo, ambedue poste in vendita, e si sono trasferite in un corpo di uffici di 450 metri quadrati, affittati dal Cla - Consorzio Lavoro Ambiente in via Guardini. La soluzione è provvisoria. Recentemente Gea ha firmato il preliminare per l’acquisto di una nuova sede a Spini di Gardolo. Comprenderà uffici per una superficie di 600 metri, 500 metri di magazzini, più i parcheggi. Le soluzioni previste nel progetto sono molto innovative ed ecologiche. Grazie ad una rete di tubi di 30 chilometri che preleveranno il calore della terra a cento metri di profondità, il riscaldamento e il raffrescamento saranno forniti dalla geotermia. Si prevede di produrre un surplus di calore rispetto al fabbisogno, che sarà venduto alle aziende del posto. Anche l’energia elettrica sarà di fonte ecologica, prodotta da un capiente impianto fotovoltaico.

L’intero edificio, il cui cantiere è stato allestito in questi giorni, è progettato e sarà costruito per ottenere la certificazione Leed Italia qualità “platinum”, il massimo oggi raggiungibile a livello mondiale per le certificazioni di qualità degli immobili.

Nella nuova sede la sensibilità per l’ambiente si combinerà con l’attenzione verso i lavoratori: il tetto, di 800 metri, sarà inerbito e sarà attrezzato con tavoli e sedute per le pause dei dipendenti.


Tratto da: http://www.cooperazionetrentina.it/Ufficio-Stampa/Notizie/Nasce-Ge-grandi-appalti-e-nuovi-posti-di-lavoro

lunedì 11 febbraio 2013

Il Papa si dimette. Ne sanno niente allo IOR?

Cappuccino, brioche e intelligence

Nella storia della Chiesa c’è un unico precedente, quello di Celestino V di cui sappiamo tutti per aver studiato la “Divina Commedia” negli anni del liceo. Gli altri sono tutti morti in carica; non tutti per morte naturale, va detto: ci sono stati i martiri della prima cristianità, poi qualche papa assassinato nel Medioevo… poi forse qualche altro. In Vaticano pare vada molto in voga il caffè corretto…Il codice canonico prevede la possibilità di dimissioni del Papa, ma la cosa è sempre parsa molto sconveniente. La Chiesa è monarchica e non ama i dualismi: pensate solo al problema della convivenza fra un Papa in carica ed uno emerito. Ogni starnuto del secondo (e questo scrive libri e twitta che è un piacere) potrebbe suonare come sconfessione del precedente. Poi, sul piano simbolico, la cosa può apparire come una fuga dalle proprie responsabilità. Quando Woitjla era già molto grave chiesero ad un prete se avrebbe potuto dimettersi e la risposta fu: “Può dimettersi Gesù dalla croce?”. Quella è una carica carismatica e delle normali dimissioni la fanno sembrare una qualsiasi carica politica.

Quando Luciani esitava ad accettare l’elezione, un cardinale gli disse: “Se il Signore dà la prova, dà anche la forza”. E questo, per un prete, chiude il discorso. Dunque, cosa può esserci stato di così grave da indurre Ratzinger ad un gesto così clamoroso? La salute? Probabilmente questa sarà la spiegazione che verrà data fra poche ore, magari ci sarà uno scoop (naturalmente smentito con forza dal Vaticano) di un Alzheimer o qualcosa del genere. Ma non è cosa da prendersi sul serio e non solo perché Ratzinger appare in buona salute (o per lo meno, nulla fa pensare ad un suo crollo imminente) e Woityla se l’è tirata per almeno otto anni (e negli ultimi due era palesemente malconcio), ma anche per altri aspetti.

Ad esempio, lo stesso Sodano ha parlato di “fulmine a ciel sereno” e se il Papa avesse avuto problemi di salute così gravi, la cosa si sarebbe saputa prima. E lo stesso secco comunicato d’agenzia, per ora non fa cenno a motivi di salute.

Poi un’altra cosa: nella Chiesa il periodo che precede la Pasqua è quello liturgicamente più intenso e (per chi crede) più importante. Il Papa avrebbe potuto benissimo dimettersi dopo la Pasqua se non proprio dopo la Pentecoste, sotto periodo estivo, quando la cosa, pur sempre clamorosa, sarebbe parsa un po’ più “naturale”. Magari preparando il terreno con qualche “indiscrezione” nei mesi precedenti. E, invece, tutto fa pensare ad una decisione scaturita da una vera e propria crisi politica dentro le mura leonine. Quindi, la domanda è: che diavolo sta succedendo in Vaticano?

Il pontificato del povero Ratzinger non poteva essere più tormentato (e, bisogna riconoscerglielo, ne è uscito dignitosamente): scandalo dei preti pedofili, polemiche aperte con il collegio cardinalizio, problema dei rapporti con l’Islam, confronto costante con il suo predecessore e, più di ogni altra cosa, la raffica di scandali finanziari dello Ior.

Prima la fuga di documenti di monsignor Caiola che consentirono a Nuzzi di scrivere il suo libro e che ha rivelato la prosecuzione dello Ior parallelo, che si credeva finito già anni prima. Poi a raffica gli scandali Fiorani, Anemone, Roveraro e riciclaggi vari. Poi l’inchiesta della Procura romana sui movimenti dello Ior presso la Jp Morgan e le pressioni della finanza mondiale perché lo Ior regolarizzasse la sua posizione giuridica (formalmente esso non è una banca e non è soggetto ai controlli internazionali del sistema bancario).

Conseguentemente, Benedetto XVI, dopo aver imposto Gotti Tedeschi (uomo dell’Opus Dei) a capo dello Ior (sino a quel punto più vicino all’ala massonica del “sacro collegio”), decise, a fine 2010, di aderire alla convenzione monetaria Ue, accettando l’applicazione delle norme antiriciclaggio. Quel che non servì ad evitare nuovi scandali su sospetti movimenti di capitali. A proposito: nella stranissima vicenda dei falsi titoli di Stato americani, che girano dal 2009, il nome dello Ior spunta in 6 casi su 11. Forse solo un caso.

Poi continuò implacabile la fuga di documenti per tutto il 2011-12 dietro la quale non era difficile intravedere lo scontro fra gli uomini dell’Opus e quelli della “Loggia” vaticana. Al punto che, nel maggio dell’anno scorso, Gotti Tedeschi rassegnava le dimissioni, dando il via ad un aperto scontro in seno alla commissione cardinalizia presieduta dal cardinal Bertone, segretario di Stato. Da allora lo Ior non ha un presidente effettivo.

Il prossimo 23 febbraio occorrerà riformare la commissione cardinalizia, con l’uscita dei cardinali Attilio Nicora e Laois Tauran (grande amico di Gotti Tedeschi) entrambi assai polemici con Bertone. In queste stesse settimane il nome dello Ior è tornato all’onore (si fa per dire: onore!) delle cronache per l’acquisizione di Anton Veneta da parte del Monte dei Paschi di Siena e tutto fa pensare che altro verrà fuori, nonostante la scontata smentita vaticana.

Per completare il quadro, ricordiamo che, nell’autunno scorso, ci fu un altro strano caso che coinvolgeva Bertone. Una ventina di anni fa l’ordine dei salesiani ricevette una cospicua eredità che produsse un contenzioso giudiziario, risolto grazie alla mediazione di alcuni valenti avvocati e periti. Solo che, subito dopo i valenti mediatori presentarono richieste economiche che andavano anche oltre il totale dell’eredità, esibendo un accordo sottoscritto dall’ordine. E, infatti, nell’ottobre scorso, l’Autorità giudiziaria dava torto ai salesiani che ora rischiano il sequestro di tutti i loro beni ed il puro e semplice fallimento (e su questo torneremo). Ma come hanno fatto i salesiani a cacciarsi in un pasticcio di questo genere? A indirizzarli in questa direzione sarebbe stato Tarcisio Bertone (che viene proprio da quell’ordine) all’epoca arcivescovo di Genova. Così, Il Reverendissimo Cardinale di Santa Romana Chiesa si vide costretto a scrivere una molto imbarazzata lettera al magistrato, lamentando si essere stato raggirato da persone che avrebbero abusato della sua ingenuità. Un salesiano ingenuo? Come è fatto? Ha le antenne in testa, tre braccia ed è coperto di squame? Del mio lontanissimo passato di giovane cattolico, ricordo una battuta che circolava in molti ambienti ecclesiali: “Non saprai mai cosa pensa un gesuita e dove trova i soldi un salesiano”. Don Bosco aveva un senso degli affari ed una spregiudicatezza che era pari solo alla sua straordinaria capacità organizzativa ed al suo genio educativo. Ed i suoi seguaci non sono mai stati da meno. Quello che più inquieta è la coincidenza temporale fra l’ “accordo” che avrebbe portato alla spoliazione i salesiani e l’approssimarsi della fine del pontificato di Woitjla. Certamente un caso. Sarà che ho letto troppo Andreotti, ma questo Bertone non mi pare che la conti proprio giusta.

Ed allora, è troppo pensare che le dimissioni del Papa siano il punto di arrivo di uno scontro politico in Vaticano e che il cuore della faccenda sia lo Ior? Ma c’è anche un’altra pista – peraltro complementare- che va valutata: Ratzinger è certamente nell’ultima fase del suo mandato (un uomo di 86 anni non può pensare di avere davanti a sé molti anni ancora) ma è ancora vigile ed efficiente. E se avesse deciso di dimettersi per pilotare, in qualche modo, la sua successione?

Ed anche qui torna lo scontro fra le varie cordate pontificie: Opus Dei, Massoneria, Cavalieri di Colombo…. Vedremo. Quello che ci sembra certo è che queste dimissioni sono la mossa politica di un uomo che vuole giocare d’anticipo su altri.

Aldo Giannuli



Tratto da: http://www.aldogiannuli.it/2013/02/dimissioni-papa/

Verso una nuova finanza. Pubblica e sociale

Oltre trecento persone hanno risposto sabato 2 febbraio all'appello di Attac Italia, Centro nuovo modello di sviluppo, Re:Common, Rivolta il Debito, Smonta il Debito. L'obiettivo è favorire la nascita di una rete che lavori su due temi: audit sul debito pubblico (anche quello degli enti locali) e ri-pubblicizzazione di Cassa depositi e prestiti


"La finanza è come un aspiratore, che può funzionare in maniera reversibile al 100%,
violando il principio dell'entropia. Puoi usarlo per estrarre ricchezza dalla collettività, per destinarla ai mercati. Oppure, girando la leva, puoi scegliere di estrarre ricchezza dei mercati, per realizzare l'interesse della maggioranza. Per questo, la finanza pubblica è uno strumento importante. Ed è per questo che noi dobbiamo lavorare per ri-appropriarcene, con un approccio trasformativo". Antonio Tricarico, di Re:Common, ha introdotto così, a Roma, la prima assemblea nazionale della nascente rete "Per una nuova finanza pubblica e sociale".
Al Teatro Valle Occupato, convocati da Attac Italia, Centro nuovo modello di sviluppo, Re:Common, Rivolta il Debito, Smonta il Debito, sabato 2 febbraio oltre 300 persone hanno risposto all'appello: "METTIAMOLI IN CRISI! PER UNA NUOVA FINANZA PUBBLICA".
"Il nostro obiettivo è arrivare a costruire un Forum per una nuovo finanza pubblica -ha spiegato Marco Bersani, di Attac Italia, tra gli animatori del Forum italiano dei movimenti per l'acqua-. È un percorso complicato, ma interessante e -soprattutto- necessario. Perché in questo Paese -ha aggiunto Bersani- viviamo numerose conflittualità che hanno tutte almeno un significato in comune: cercano di de-mercificare alcuni beni. A questi conflitti, affianchiamo un percorso per de-finanziarizzare la società. Perché non solo re-immettere ricchezza nella società. Tra i beni che, a mio avviso, devono star fuori dal mercato c'è anche il credito.
Per questo -ha spiegato Bersani- proporremmo due percorsi: una riguarda il debito, l'altro Cassa depositi e presiti", quest'ultimo divenuta nel corso dell'ultimo anno e mezzo una sorta di "fondo sovrano", una banca d'investimenti privata forte della capacità d'investire il risparmio postale di 12 milioni di famiglie italiane.
"Questa campagna è necessaria per rompere la nuova ideologia, quella che dice 'privato è obbligatorio'. Oggi che il debito è un problema fondamentale, e ogni volta che un gruppo di persone avanza una rivendicazione la risposta che viene data è che non ci sono soldi a disposizione. Per questo, i movimenti devono risalire a monte. Per il momento siamo intervenuti sugli effetti, ma non basta più: bisogna intervenire sulle cause".

Per questo è essenziale ri-appropriarsi della finanza, e in particolare di quella pubblica. "Ciò significherebbe, tra l'altro, togliere linfa vitale ai mercati finanziari -come ha spiegato Tricarico-. Quei mercato che sono, oggi, gli espropriatori della ricchezza collettiva, i soggetti che si servono dell'aspirapolvere.
Le due aree di lavoro su finanza degli enti locali e Cassa depositi e presiti sono centrali -secondo l'esponente di Re:Common-, perché sono gli ambiti in cui si assiste alla riconfigurazione del potere del capitalismo italiano".
Secondo Tricarico "i soldi ci sono, e sono fin troppi". Cdp -infatti- ha una liquidità di oltre 120 miliardi di euro. Per questo, è opportuno "organizzare i risparmiatori postali", spesso ignari di finanziare la Cassa. "Gli italiani devono arrivare a dire 'non con i nostri soldi', parlando al plurale, pensandosi come collettività" spiega Tricarico, che per Re:Common si occupa del programma "Nuova finanza pubblica". Che insiste: "La riappropriazione della finanza è una risposta alla crisi. Prevede una traiettoria lunga. Intorno a Cdp, per quanto sia importante, c'è un silenzio assordante. È passato nell'ombra il deciso regalo fatto nelle ultime settimane alle fondazioni bancarie, azioniste fino ad oggi al 30%, per restare in Cassa. E non c'è nessuno, nell'arco costituzionale, che dica 'le vogliamo buttare fuori'".

All'assemblea di Roma è intervenuto, tra gli altri, Gigi Malabarba, in rappresenza di "Ri-Maflow", ovvero del gruppo di persone che nel milanese ha occupato "una fabbrica chiusa nelle scorse settimane, dopo un ciclo di lotte, dopo un'occupazione durante la fase di amministrazione straordinaria".
Al "termine del periodo di cassa integrazione -ha raccontato Malabarba- un gruppo di operai, che non hanno trovato che lavori al nero, hanno deciso di ri-appropriarsi di quel luogo e anche dei macchinari. La Maflow lavorava nel ciclo dell'auto. Ovviamente non abbiamo intenzione di restare in quell'ambito, e proponiamo una riconversione in senso ecologico". Il suffiso "Ri", davanti a Maflow significa "riuso, riciclo, riappropriazione, rivolta il debito, rivoluzione". "Vorremmo poter lavorare in funzione delle esigenze sociali, portando un beneficio alla collettività -racconta Malabarba-. La forma giuridica sarà quella di una cooperativa, e il modello quello di un'autogestione: perché c'interessa una nuova finanza pubblica? Perché è l'unica che potrebbe dar gambe a un progetto che punta a garantire produzione e reddito. È la finanza che ci serve, a sostegno di un progetto di autogestione operaia".


Tratto da: http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=3906

domenica 10 febbraio 2013

Blueprint for a Co-operative Decade - February 2013

This document was considered in draft by the General Assembly of the International Co-operative Alliance (ICA) in Manchester in October 2012. Following comment and discussion (now reflected in this revised version) the Blueprint was approved by the General Assembly. It is now issued in its final form. French and Spanish versions will be available shortly.
The intention of the General Assembly is that the United Nations International Year of Co-operatives marks the beginning of a worldwide campaign to take the co-operative way of doing business to a new level. The ambitious plan in this Blueprint - the “2020 vision” - is for the co-operative form of business by 2020 to become:

• The acknowledged leader in economic, social and environmental sustainability
• The model preferred by people
• The fastest growing form of enterprise

The 2020 vision seeks to build on the achievements of the International Year of Co-operatives and the resilience demonstrated by the co-operative movement since the great financial collapse. By pursuing the strategy outlined in this Blueprint, we aim to make 2011-2020 a Co-operative Decade of confident growth.

The International Year of Co-operatives has provided a powerful focal point for the sector. It has heightened its sense of shared purpose, illustrated by the range of activities and celebrations of the International Year, by the number of international conferences and summits held around the world with agreed outcome declarations, as well as the widespread take-up of the 2012 International Year logo and tagline by co-operatives around the world. It has raised the profile of co-operatives beyond the limits of the sector itself, in civil society and amongst governmental and inter-governmental bodies.

These are significant achievements, but they need to be seen in the context of the dominant emerging trends that are likely to shape our politics, societies and economies for the foreseeable future. Some of the most crucial global trends are:

• Environmental degradation and resource depletion
• An unstable financial sector
• Increasing inequality
• A growing global governance gap
• A seemingly disenfranchised younger generation
• A loss of trust in political and economic organisations

Co-operatives already make a significant contribution towards alleviating these pressing global problems. But, with appropriate support and greater understanding and recognition, they could contribute much more. The challenge now is for the ICA, national bodies, sector groups, co-operative societies and individual members to take this Blueprint forward into implementation.


ICA Blueprint Online - Download




Tratto da: http://ica.coop/en/media/library/member-publication/blueprint-co-operative-decade-february-2013