venerdì 12 luglio 2013

Uscire dalla crisi: la soluzione cooperativa (8^ parte)

4 Comprendere le cooperative

Per superare gli ostacoli fin qui evidenziati e rafforzare l’impatto economico e il valore sociale delle cooperative, è necessario dotarsi di una nuova struttura interpretativa.
Un importante obiettivo della Conferenza di Euricse è stato quello di fare luce sugli sviluppi teorici che possono spiegare la natura e il fondamento logico delle imprese cooperative. I relatori hanno discusso sia dei limiti delle interpretazioni convenzionali che delle potenzialità offerte da alcune recenti innovazioni teoriche.


 

4.1 I limiti della teoria economica convenzionale



Pur adottando differenti approcci analitici, tutti i relatori della Conferenza si sono trovati d’accordo sulla necessità di sfidare la convinzione, molto diffusa, che le cooperative siano generalmente meno efficienti delle imprese di capitali. Molti relatori hanno giudicato inadeguati gli assunti iniziali dai quali muovono le teorie convenzionali sulle cooperative.
Particolare attenzione è stata prestata a tre limiti delle teorie correnti
 
Il primo limite è costituito dall’assunto secondo cui l’efficienza è sempre proporzionale alla specializzazione dei compiti che deriva a sua volta dalla divisione del lavoro. Gli economisti assumono, in generale, che ogni qualvolta la divisione sociale del lavoro è massimizzata, la specializzazione degli agenti le risulta rafforzata e quindi si realizza il livello massimo di produzione consentito dalla tecnologia. Questa assunzione trascura però i guadagni di efficienza che possono derivare dalla cooperazione volontaria fra agenti che esercitano la stessa attività, invece di scegliere di specializzarsi in compiti distinti.

 
Il secondo limite è costituito dall’assunto che i mercati concorrenziali e i contratti siano le istituzioni sociali più efficienti per coordinare agenti indipendenti, specializzati e razionali e che la concorrenza caratterizzi naturalmente i mercati o possa essere ottenuta attraverso un’adeguata regolamentazione. Senza tenere conto che, in molti casi, il mercato non è – né può diventare – pienamente concorrenziale, e di conseguenza è strutturalmente incapace di generare il massimo benessere sociale. Sotto tali condizioni, la possibilità di ricorrere al mercato è quindi strutturalmente limitata.
 
Il terzo limite è costituito dall’assunto che gli agenti economici siano completamente razionali e autointeressati, e che di conseguenza il loro comportamento possa essere definito da una funzione di utilità con una sola determinante: la massimizzazione del reddito netto che è generato dalla loro partecipazione a qualsiasi tipo di attività economica. Questa semplificazione tuttavia non è in grado di spiegare il comportamento reale di agenti che, di solito, non sono motivati esclusivamente dall’aspettativa di ricompense monetarie.

Inoltre, tale assunto non è in grado di spiegare perché le transazioni avvengano anche quando non si raggiunge il massimo guadagno possibile. Ci sono almeno due importanti ragioni che spiegano perché queste transazioni possono comunque avvenire. La prima è che la decisione di prendere parte a un’attività economica è spesso il risultato di motivazioni auto interessate, ma differenti dalla pura ricompensa monetaria. Tali motivazioni comprendono, per esempio, la stabilità del posto di lavoro o l’opportunità di vendere i propri prodotti a prezzi più equi. La seconda ragione è che gli agenti non sono guidati unicamente da motivazioni egoistiche, ma anche da motivazioni pro-sociali come la reciprocità, gli impegni morali o l’adesione a norme sociali, che possono sostituirsi o aggiungersi alle motivazioni egoistiche. Dell’importanza di queste motivazioni, anche negli scambi economici, si sono di recente occupati gli economisti comportamentali, che hanno evidenziato come la capacità umana di cooperare sia spesso basata anche su forme di reciprocità (Ben-Ner ed Ellman, 2012; S. Zamagni, 2012).

Non sorprende, quindi, che le conclusioni derivanti dall’applicazione di teorie che non tengono conto dei limiti dell’approccio convenzionale siano incompatibili con il funzionamento reale delle cooperative. Questo è il caso ad esempio dei modelli che hanno cercato di interpretare le cooperative di lavoro, che sostengono che esse tendono a ridurre l’occupazione quando i prezzi dei loro prodotti aumentano, perché assumono che l’unico obiettivo perseguito dai soci sia la minimizzazione del loro salario. Recenti studi empirici mostrano che le cooperative non reagiscono in questo modo alle variazioni dei prezzi dei prodotti o alle perturbazioni della domanda.
Essi mostrano, al contrario, che le cooperative tendono a privilegiare la creazione e la stabilità dei posti di lavoro più delle imprese tradizionali (Pérotin, 2012). Ad una conclusione simile si giunge anche con riguardo alla presunta inefficienza strutturale delle cooperative a causa di comportamenti attesi di free-riding da parte dei lavoratori, che, in quanto proprietari, non sarebbero soggetti ad adeguati controlli.
Questa interpretazione, infatti, non tiene con to del ruolo che giocano le motivazioni intrinseche; motivazioni che spesso influenzano in modo decisivo la decisione di aderire alla cooperativa.
Ricapitolando, le interpretazioni proposte dalla teoria economica sono basate su assunti discutibili e non costituiscono quindi un riferimento soddisfacente per comprendere il fondamento logico delle imprese cooperative.
 

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