mercoledì 4 luglio 2012

QUELLA MONETA CHIAMATA WIR

Ottimo articolo sulle potenzialità e il significato della banca "Wir" e della cooperazione.
Tratto dall'interessante rivista "Libertaria"

di Massimo Amato

Uno dei percorsi per uscire dalla crisi? Dare alle relazioni finanziarie un’impronta cooperativistica. Cioè quel modo di relazionarsi che affonda le radici nella storia dei movimenti popolari. Un esempio? Una moneta locale molto in uso in Svizzera: il Wir. Ecco come funziona quella moneta ideata da Werner Zimmermann, fondatore della banca cooperativa Wir. Attiva da quasi settant’anni. L’analizza Massimo Amato che insegna storia economica all’università Bocconi di Milano ed è autore con Luca Fantacci di Fine della finanza (2009) e di Il bivio della moneta (1999), Le radici di una fede (2008).



Vale la pena dirlo ancora una volta con chiarezza, a costo di apparire ripetitivi: la crisi che non accenna minimamente a finire non ha a che fare né soltanto con una congiuntura particolarmente sfavorevole né soltanto con i comportamenti particolarmente antisociali di alcuni esponenti del «capitale». È la crisi di un modo di erogare il credito che si fonda sulla rescissione del rapporto, necessariamente locale e individuale, fra creditore e debitore, e sulla sua dissoluzione nel reticolo globale e anonimo dei mercati finanziari.

Uscire dalla crisi implica che si provi a ricostituire questo rapporto a partire da ciò che ne costituisce l’essenza. Potrebbe essere, infatti, che il credito rettamente inteso non sia affatto un’erogazione di denaro a condizioni più o meno onerose entro un mercato tanto più efficiente quanto più esteso, ma innanzitutto la messa in atto di un rapporto di cooperazione. La necessità sempre più impellente di uscire dalla crisi non implica affatto un ritorno al passato, né tanto meno una chiusura nel «localismo», ma la possibilità di dare alle relazioni finanziarie un’impronta schiettamente cooperativa.

La tradizione del credito cooperativo affonda le radici nella storia dei movimenti popolari, cristiani, socialisti e anarchici, ed è riuscita, anche se con difficoltà crescenti, a mantenere viva la propria differenza rispetto al credito bancario fondato sulla moneta-merce, ossia sull’idea che il credito sia una fattispecie particolare della compravendita di merci. In realtà, se si fa attenzione alle effettive poste in gioco della finanza nel suo rapporto con l’economia reale, una banca cooperativa è incomparabilmente più adeguata di una banca normale a svolgere il ruolo che volentieri si attribuisce a ogni operatore finanziario, ossia quello di intermediario.

Nel caso della compravendita, l’intermediario è colui che fa incontrare un compratore e un venditore, al fine di facilitare il perfezionamento degli scambi di beni, contro beni o contro moneta. Ma se, semplicemente, ci atteniamo al fatto che la relazione di debito-credito non è un rapporto di compravendita, allora il ruolo del mediatore diviene ancora di più decisivo. Non si tratta solo di far incontrare debitori e creditori, ma anche di farli incontrare in modo tale che essi possano collaborare fra di loro, e in modo tale che l’attività di mediazione non assuma il carattere autonomo e autoreferenziale di un’attività a scopo di lucro.


Cos’è una banca?

Contro ogni apparenza derivante dal modello dottrinario che si è imposto negli ultimi decenni, senza che peraltro attorno e contro tale operazione si accendesse un dibattito, anzi grazie al soffocamento del dibattito sul piano teorico e mediatico, una banca non è un’impresa come le altre, il cui valore i suoi azionisti avrebbero il diritto di vedere costantemente aumentato, sulla base di flussi scontati di profitti futuri. Una banca non è un capitale da far fruttare. E tanto meno lo è una banca cooperativa. Certo si tratta di un’attività economica, vincolata al raggiungimento e al mantenimento di un bilancio che non sia in perdita. Ma, proprio perché il suo scopo è l’intermediazione, la sua efficienza non si misura sui suoi profitti, ma sul raggiungimento del più alto livello possibile di cooperazione fra debitori e creditori.

Tale cooperazione non ha nulla di crocerossino: un debitore coopera facendo tutto ciò che è in suo potere per mantenersi solvibile e per non indebitarsi al di là delle sue possibilità. Ma un creditore, a sua volta, coopera facendo in modo che il debitore possa ogni volta realmente pagare.

Tale cooperazione non solo ha ragioni economiche profonde, che non sono certo sfuggite a John Maynard Keynes, ma tocca radici ben più profonde. Il credito cooperativo è uno dei pilastri di una società libertaria, nel senso non tanto di una società senza poteri, ma di una società che opera per la riduzione a zero di ogni forma di autorità di comando. La costituzione del rapporto di credito in termini cooperativi è la via più diretta per abolire quella forma di autorità di comando che è la rendita (il potere di chi non lavora su chi lavora) e ciò restando sul pia- no economico e senza dovere operare amputazioni violente di interessi costituiti o di supposti diritti.

Che il creditore debba collaborare con il debitore a rendere possibile il pagamento dei debiti, è un fatto sociale che toglie in via di principio ogni superbia al «risparmiatore» e ogni sua pretesa di vedersi remunerato per il solo fatto che concede in prestito una moneta precedentemente accumulata. Il risparmio è una virtù borghese. Non è mai stata una virtù cristiana e non sarà mai una virtù autenticamente socialista. La cooperazione sì.


Arriva Zimmermann

Questo è quanto sapeva Werner Zimmermann, il fondatore di una banca cooperativa che da quasi settant’anni opera con una moneta locale nella patria della banca borghese.
Si tratta della banca cooperativa svizzera Wir.
Wir sta per «Wirtschaftsring», ossia «circuito dell’economia», ma in tedesco significa anche, più semplicemente, «noi». Zimmermann sapeva che il «noi» di una società cooperativa si costruisce anche istituendo un circuito economico. Amico di Silvio Gesell, l’economista radicale che proponeva la moneta a scomparsa, ossia una moneta a cui il tratto della merce e della riserva di valore fosse tolto per istituzione attraverso un tasso di interesse negativo da applicarsi alla sua pura e semplice detenzione, Zimmermann non è un teorico particolarmente importante. Ma è un uomo che non si tira indietro di fronte a un compito politico fondamentale. E lo fa in un momento in cui la crisi economica indurisce la già dura vita degli uomini in un regime capitalista. Wir viene fondata nel 1934, in un momento in cui la Svizzera conosce tassi di disoccupazione del 40 per cento e in cui le banche, esattamente come ora, non erogano credito a nessuno, tanto meno alle piccole e medie imprese.

I soci fondatori sono inizialmente sedici. Ora, dopo settant’anni di attività, Wir è la banca cooperativa di riferimento di 70 mila piccole e medie imprese che operano soprattutto nella Svizzera tedesca.
Con il tempo Wir ha aggiunto nuove forme di attività bancaria, ma il cuore del suo sistema cooperativo è il credito in compensazione sulla base di una contabilità in una moneta di conto locale, il Wir.

Il meccanismo è semplice: ogni socio Wir ha un conto in Wir, e accetta di essere «pagato» in questa moneta, che gli viene accreditata sul suo conto. Metto le virgolette perché questo pagamento sui generi sè in effetti una concessione di credito alla controparte, posto che i Wir non circolano all’e- sterno della banca e non hanno un controvalore in franchi svizzeri, ma solo un’equivalenza contabile con la moneta ufficiale (un Wir equivale a un franco svizzero).

La transazione fra i due soci si configura dunque come una concessione di credito da parte di chi accetta i Wir e come un finanziamento per chi con essi paga. Dal punto di vista contabile il conto corrente del primo ha una posta attiva pari alla posta passiva del secondo. Ma dal momento che si tratta di un circuito, e che i soci sono molti, il socio con un credito potrà spenderlo con altri soci che accetteranno i Wir in pagamento; il socio con un debito potrà ragionevolmente sperare di entrare nella catena dei pagamenti fra soci, compensando il suo debito in Wir con un credito a fronte di una cessione di beni o servizi. In linea di principio, dunque, tutti i conti correnti dei soci tendono al pareggio fra poste attive e passive. Ma questa convergenza dei bilanci verso il pareggio rende possibile nel tempo lo sviluppo di transazioni reali, in beni e servizi, che senza quel credito e debito inizialmente reciprocamente concessi non sarebbero semplicemente state possibili.

La tendenza al pareggio è in effetti l’unico criterio di gestione prudenziale di un sistema che non ha bisogno di riserve per poter erogare credito. Operativamente ciò implica che ogni correntista deve accettare una quantità di Wir non superiore a quella che potrà spendere. Se tutti si attengono a tale principio, è verosimile che ogni debito possa essere pagato semplicemente attraverso il meccanismo della spesa dei Wir.

I Wir, in altri termini, non si possono accumulare, nel senso che non c’è nessuna tendenza nel sistema a lasciare inoperante il potere d’acquisto incarnato dai Wir. E non tanto perché ciò sia vietato, ma perché la detenzione indefinita di potere d’acquisto in Wir non è economicamente efficiente, dal momento che nessun interesse positivo è percepito sugli attivi. Ogni somma accumulata in Wir perde, in termini comparativi, interesse che potrebbe guadagnare al di fuori della banca se fosse possibile convertirla in franchi ufficiali. Posto che tale conversione è statutariamente impossibile, l’unico modo economicamente sensato di usare i crediti Wir è spenderli, alimentando così il circuito.

Ci si potrebbe chiedere che cosa induca un’impresa a entrare nel circuito, e ad accettare di guadagnare crediti in Wir, posto che questi ultimi non fruttano interessi e possono essere spesi soltanto all’interno del circuito stesso. La risposta è semplice: così come chi ottiene un prestito in Wir può acquistare ciò che altrimenti non sarebbe riuscito a permettersi, simmetricamente chi accetta di guadagnare un credito in Wir può vendere ciò che altrimenti non sarebbe riuscito a smerciare. Il credito in compensazione, reso possibile dal circuito Wir, offre dunque vantaggi speculari a creditori e debitori.

Ecco l’elemento cooperativo: non solo il credito si forma come dilazione di pagamento, e quindi come «aiuto» al debitore, ma, nella misura in cui è necessariamente speso, esso stimola un circuito di scambi che rende assai probabile che il debitore possa rientrare dal suo debito. Assai probabile perché in un sistema economico locale sufficientemente articolato non esistono operatori che abbiano solo clienti o solo fornitori, e quindi non esistono operatori che rischino di essere solo creditori e solo debitori.

Nato come sistema di credito in compensazione fra imprese, il sistema si è arricchito di altri aspetti. Da una parte i crediti Wir possono essere ceduti dalle imprese ai loro dipendenti, per esempio come premi di produzione; dal momento che fra le imprese aderenti al circuito ve ne sono molte che offrono prodotti di consumo (e segnatamente servizi alberghieri e di ristorazione, ma in generale tutti i servizi artigianali per la persona e per la casa), ogni privato possessore di Wir trova sempre il modo di spenderli. La Banca Wir emette una carta di debito che serve per effettuare tali pagamenti in Wir, che possono variare da un minimo del 30 per cento a un massimo del 100 per cento della somma. Di fatto i privati vengono inseriti nel circuito di compensazione rendendolo ancora più fluido. Si può immaginare infatti la seguente semplice triangolazione: un ristoratore paga i suoi fornitori in Wir, questi ultimi pagano parte del lavoro dei loro dipendenti in Wir e i dipendenti li spendono presso il ristoratore. Ma si tratta solo di un esempio. La compensazione è multilaterale: tutti sono potenzialmente in rapporto con tutti, e mai una transazione per la quale vi sia da una parte qualcuno disposto a vendere e dall’altra qualcuno disposto ad acquistare è resa impossibile da una mancanza di denaro. Del resto è proprio così che il circuito Wir ha potuto allargarsi costantemente: di fronte all’alternativa di perdere un affare o di accettare in parte dei Wir in pagamento nessun operatore economico sano ha esitazioni. Sono i clienti Wir a far affluire altri clienti nel circuito…

D’altra parte la Banca Wir svolge anche un’attività di raccolta e prestito in franchi svizzeri. Nel 2009 il credito complessivamente erogato è stato pari a 3,719 miliardi di franchi, di cui 876,3 milioni in Wir. Il circuito in Wir rende possibile una copertura dei costi di gestione della banca, semplicemente tramite il pagamento di commissioni sulle operazioni, che rendono inutile la richiesta di interessi da parte della banca, la quale, per i prestiti in Wir non deve rifornirsi di liquidità sul mercato, e dunque, posto che si tratti di una banca cooperativa senza scopo di lucro, i crediti in franchi svizzeri sono erogati a tassi molto inferiori rispetto ai tassi normalmente praticati dalle banche. Il tasso sui mutui immobiliari oscilla presso Wir da un minimo dell’1 per cento a un massimo dell’1,75 per cento. Di fatto non si tratta nemmeno di un tasso di interesse, ma della copertura delle spese di istruzione della pratica di credito.

Ma non solo: si tratta di apprezzare con più precisione il fatto che questa forma di erogazione del credito è al riparo dalle fluttuazioni del ciclo economico. Nella fase bassa della congiuntura anche i tassi delle altre banche sono formalmente bassi… salvo che le banche esitano a concedere mutui. Nella fase alta della congiuntura (come per esempio fino alla fine del 2007, quando le banche con- cedono credito anche a chi non sarà mai in grado di ripagare i suoi debiti), invece, lo spread fra i tassi di mercato e i tassi Wir diviene consistente.


Umanizzare l’economia

Infine vale la pena approfondire quanto osservato fra parentesi. Il sistema della liquidità rende non solo possibile ma anche necessaria, in fasi di espansione, l’inclusione nei circuiti del credito anche di quelli che sono detti subprime borrowers. La liquidità è talmente elevata che si presta anche a chi non se lo merita. L’innegabile (anche se effimero) vantaggio goduto da costoro ha fatto elevare dagli apologeti del sistema della liquidità alti peana alla funzione sociale dei mercati finanziari, capaci di «prestare anche ai poveri». Ma questo modo di «prendersi cura» dei soggetti economicamente deboli non fa che indebolirli: prima togliendo loro ogni dignità, poi togliendo loro anche la casa. In effetti, l’unico modo per rendere «bancabili i poveri» è smettere di pretendere che essi paghino rendite ai possessori di moneta. L’abbassamento sistematico dei tassi di interesse da parte di Wir è una via sana, l’unica, in realtà, e proprio perché non soggetta alle oscillazioni capricciose del ciclo economico, alla «democratizzazione della finanza».

L’esperienza di Wir è radicata nel contesto svizzero, ma i suoi elementi costitutivi sono in tutto e per tutto replicabili in altri contesti, culturali, legali e politici. L’unica cosa che serve è prendere sul serio ciò che è racchiuso nella semplice parola «cooperazione». Non va dimenticato che l’intento che animava Zimmermann e i suoi amici era una riforma ben più complessiva della società, in vista della costituzione di forme di convivenza fondate sulla semplice idea che la cooperazione non è una nozione vagamente «economica», ma che solo essa può dare alla parola economia tutta la familiarità e tutta la legalità di cui ha bisogno per poter risuonare umanamente.

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