Lavorare in una cooperativa è una scelta di giustizia, che esprime libertà e porta alla felicità.
Ha detto così il professor Stefano Zamagni ai 400 studenti trentini che si sono recati a Riva del Garda con i loro insegnanti per ascoltare la lezione dell’economista. Sul palco, prima di lui, i ragazzi avevano presentato i loro progetti di educazione cooperativa portati avanti nelle scuole dalla Federazione insieme alla Provincia.
Giustizia, libertà, felicità
“Un giovane che ama la giustizia farà fatica a lavorare nelle imprese di tipo capitalistico – ha detto l’economista –. Le diseguaglianze sono fortissime: chi vince diventa super-ricco, chi perde viene annientato. I giovani sono per natura avversi alle ingiustizie e non possono avere l’efficienza esasperata come unico obiettivo di vita”. E poi la libertà. “La vera libertà non è quella di scegliere ma di poter scegliere. Chi ama lalibertà ne accetta di rischi. Chi vuole la sicurezza vende quote di libertà e accetta il lavoro dipendente. Per questo il modo migliore per far avvicinare un giovane alla cooperazione è quello di fargli amare la libertà”. Lavorare in cooperativa, poi porta alla felicità, che è cosa diversa dall’utilità, che è collegata al possesso delle cose. “La felicità riguarda le relazioni tra persone: per essere felici bisogna essere almeno in due”. Secondo Zamagni all’interno degli ambienti di lavoro delle imprese capitalistiche le relazioni vengono limitate quando non addirittura evitate del tutto, perché considerate dannosi perditempo. “Così si uccide la felicità – ha detto –. La cooperazione ti consente (non garantisce) di tradurre in pratica giustizia libertà e felicità”.
L’origine della cooperazione
Alla base del capitalismo c’è l’idea di Thomas Hobbes secondo cui la natura umana è egoista. “In quel mondo – ha detto il professore – l’uomo è lupo contro gli altri. Questa concezione di impresa è risultata vincente fino a metà dell’Ottocento, quando come reazione a quest’approccio è nata la cooperazione”. Le prime cooperative sono state di consumo: spacci alimentari che vendevano ai soci a prezzi accessibili. Una risposta contro la miseria. “Questa origine – ha spiegato Zamagni – ha avuto un effetto di trascinamento che non ha giovato alla causa cooperativa. Ha fatto credere a intere generazioni di studiosi e di politici che la forma cooperativa fosse minore”. Lo stesso articolo 45 della Costituzione che parla di cooperazione ne cita la sua funzione sociale, perché la funzione economica è considerata appannaggio esclusivo delle imprese capitalistica: le imprese creano ricchezza, le cooperative redistribuiscono. “Allora questa differenziazione era giustificata oggi no – ha aggiunto –. Oggi dobbiamo recuperare il terreno perduto. Guai a dissociare l’economico dal sociale.
È un tentativo di delegittimare. La cooperazione è una forma superiore rispetto alla capitalistica: riesce a redistribuire ricchezza mentre la produce. Se esistessero solo imprese cooperative non ci sarebbe bisogno di welfare state, che è nato per il fallimento del mercato capitalistico”.
La differenza delle cooperative
In ogni impresa tutti sono consapevoli che ognuno ha bisogno dell’altro; ciascuno mantiene la responsabilità delle proprie azioni e tutti tendono al raggiungimento di un obiettivo comune. Nell’impresa capitalistica la comunione si ferma ai mezzi: il capitalista vuole massimizzare il profitto, il lavoratore massimizzare il salario. Uno ha bisogno dell’altro.
Nella cooperativa la comunanza si estende ai fini. Ne consegue che il modo di gestire e governare l’impresa sarà diverso: non la gerarchia ma l’autorevolezza.
“Il movimento cooperativo – ha suggerito il docente – deve mettere in atto delle strategie di protezione della propria identità. La tentazione di alzare le braccia e trasformarsi in imprese capitalistiche è forte.
L’antidoto è agire a livello culturale, anche rafforzando le reti, le forme di organizzazione orizzontale che fanno parlare di distretto cooperativo”.
di Dirce Pradella
Tratto da: Cooperazione Trentina n°4 Aprile 2012
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