Leggo questo articolo e mi viene in mente l'ultima puntata di Report, in cui si parla del prezzo del cibo e di come questo negli ultimi anni abbia subito importanti variazioni a causa della possibilità di “speculare” sulle materie prime. Qui il video (interessante dal minuto 00:06:00)
“...il problema è che tra il 2005 e il 2007, a seguito della deregolamentazione del mercato delle commodities entrano in gioco investitori istituzionali hedge founds e fondi pensione, e subito hanno un ruolo destabilizzante; loro scommettono sulla variazione dei prezzi delle commodities e comprano quelle agricole: cereali, soia.. esattamente come comprano petrolio, oro, minerali, ovvero scommettono sulla base di soli interessi di portafoglio, senza guardare alla disponibilità di beni e all’oscillazione della domanda…”
A tale proposito mi fanno riflettere le pubblicità di certi siti in cui ti invitano a “investire” tramite loro su Indici, Forex (valute) e materie prime (che oltre a metalli e greggio comprende anche i cereali, per esempio).
Ovviamente questo articolo non fa che rinforzare la convinzione che sia necessario trovare e mettere in atto il prima possibile delle soluzioni, per le quali rimando al precedente post: Una crisi del petrolio comporta una crisi alimentare - L'esperienza cubana e le possibili soluzioni
20 SEGNALI DI UNA PROSSIMA TERRIBILE CRISI ALIMENTARE GLOBALE
di ALEX JONES
theeconomiccollapseblog.com
Nel caso non l’aveste notato, il mondo è sull'orlo di un’orribile crisi alimentare globale.
In un dato momento, tutto questo potrà riguardare tu e anche la tua famiglia. Potrebbe non avvenire oggi, e forse neanche domani, ma accadrà. Il tempo impazzito e i disastri naturali hanno sconvolto la produzione agricola in molte aree del globo negli ultimi due anni. Nel frattempo, i prezzi del petrolio hanno iniziato a impennarsi. L’intera economia globale è basata sulla possibilità di utilizzare enormi quantità di petrolio a basso costo per produrre economicamente il cibo e le altre merci, per poi trasportarli su vaste distanze.
Senza il petrolio a basso prezzo, i giochi cambiano. Il terreno arabile sta calando a tassi sconcertanti e i bacini acquiferi fondamentali di tutto il mondo vengono prosciugati a un ritmo folle. I prezzi mondiali del cibo hanno raggiunto i suoi massimi e continuano a salire in modo aggressivo. E allora cosa accadrà al nostro mondo quando centinaia di milioni di persone non riusciranno più a nutrirsi?
La maggior parte degli Americani si è così assuefatta ai supermercati, da cui prelevano quantità industriali di cibo economico, che non riescono neppure a immaginare la vita che si incammina in un’altra direzione. Sfortunatamente, quell’epoca sta finendo. Ci sono tutte gli indizi possibili per capire che stiamo entrando in un’era dove non ci sarà abbastanza cibo per tutti. Quando la richiesta di cibo incrementa, i prezzi sono destinati a salire. E già ora stanno salendo. Diamo un’occhiata alle ragioni per cui un numero sempre maggiore di persone ritiene che un’imponente crisi alimentare sia all’orizzonte. Questi sono venti segnali che parlano di un’orribile crisi alimentare globale in arrivo…
#1 In base alla Banca Mondiale, 44 milioni di persone in tutto il mondo sono stati trascinati nella povertà estrema dallo scorso giugno a causa degli aumenti dei prezzi del cibo.
#2 Il mondo sta perdendo terreno coltivabile a un tasso eccezionale. Infatti, con le parole di Lester Brown, "un terzo della terra arabile del pianeta sta perdendo lo strato superficiale in modo più rapido di quanto non venga riformato dai processi naturali".
#3 A causa dei sussidi statunitensi all’etanolo, quasi un terzo del mais coltivato negli USA è utilizzato per la produzione di carburanti. Tutto ciò mette in forte tensione il prezzo granturco.
#4 A causa della mancanza d’acqua, alcuni paesi nel Medio Oriente sono obbligati a confidare quasi totalmente sulle importazioni dei generi alimentari basici. Ad esempio, è stato stimato che non ci sarà più produzione di farina in Arabia Saudita dal 2012.
#5 Le falde freatiche in tutto il globo stanno calando di livello ad un tasso preoccupante a causa del sovrapompaggio. In base ai dati della Banca Mondiale, ci sono 130 milioni di persone in Cina e 175 milioni in India che si sono potuti nutrire grazie a cereali coltivati con l’acqua pompata dai bacini idrici a un ritmo maggiore del suo ripristino naturale. Cosa succederà quando l’acqua si esaurirà?
#6 Negli Stati Uniti, il sistematico abbassamento del bacino acquifero dell’Ogallala trasformerà il granaio d’America in una conca polverosa.
#7 Malattie come la ruggine dello stelo UG99 si sta diffondendo a tassi sempre maggiori in vasti segmenti della catena alimentare mondiale.
#8 Lo tsunami e la conseguente crisi nucleare in Giappone hanno reso vaste aree agricole della nazione inutilizzabili. Infatti, ci sono molti che credono che una porzione significativa del Giappone settentrionale sarà dichiarata inabitabile. Senza considerare il fatto che molti sono convinti del fatto che l’economia giapponese, la terza più importante del mondo, è probabile che per questa ragione abbia un collasso.
#9 Il prezzo del petrolio potrebbe essere il fattore-chiave in questa lista. Il modo in cui si produce il cibo è totalmente dipendente dal petrolio. Il modo con cui trasportiamo il cibo è totalmente dipendente dal petrolio. Quando si hanno prezzi del petrolio in impennata, l’intera catena alimentare diventa molto più costosa. Se il prezzo del petrolio continuerà a rimanere alto, avremo prezzi delle derrate molto più alti e alcune modalità di produzione del cibo non avranno più possibilità di esistere.
#10 In un dato momento il mondo potrà aver a che fare con una seria penuria di fertilizzanti. In base agli studiosi del “Global Phosphorus Research Iniziative”, non avremo abbastanza fosforo per soddisfare le richieste degli agricoltori fra 30 o 40 anni.
#11 L’inflazione dei prezzi del cibo ha già devastato molte economie del pianeta. Ad esempio, l’India sta facendo i conti con un’inflazione su base annua dei prezzi alimentari del 18 per cento.
#12 In base alle Nazioni Unite, il prezzo globale del cibo ha raggiunto un nuovo massimo in febbraio.
#13 In base alla Banca Mondiale, il prezzo globale del cibo è aumentato del 36% negli ultimi dodici mesi.
#14 Il prezzo della farina è quasi raddoppiato dalla scorsa estate.
#15 Il prezzo del mais è quasi raddoppiato dalla scorsa estate.
#16 Il prezzo della soia è salito di circa il 50% dallo scorso giugno.
#17 Il prezzo del succo di arancia è raddoppiato dal 2009.
#18 Ci sono circa tre miliardi di persone nel pianeta che vivono con l’equivalente di due dollari al giorno, o anche meno, e il mondo è sulla soglia di un disastro economico che si potrà verificare prima della fine di quest’anno.
#19 Il 2011 è già ritenuto uno degli anni più pazzi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Le rivoluzioni che hanno sconvolto il Medio Oriente, gli Stati Uniti si sono precipitati nella guerra civile libica, l’Europa che vede davanti a sé un collasso finanziario e il dollaro statunitense in fin di vita: niente di tutto ciò può essere considerato una buona notizia per la produzione mondiale di cibo.
#20 Ci sono voci persistenti che avremo penurie da parte di qualche grande fornitore di cibo d’emergenza negli Stati Uniti. Ciò che segue è un estratto dal recente "allarme rosso" postato su Raiders News Network....
Guardati attorno. Leggi le notizie. Vedi come le più grandi fabbriche di cibo, di iodato di potassio e altri produttori di generi d’emergenza chiudono i loro negozi on-line e pubblicano informazioni, come quelle del sito ufficiale di Mountain House e di Thyrosafe, dove spiegano che, a causa della domanda soverchiante, per il momento chiudono i battenti, sperando di riaprire in futuro.
Cosa significa tutto ciò? Significa che manca poco tempo. Per anni, tante Cassandre hanno strillato e parlato di una crisi alimentare in procinto di verificarsi. Bene, arrivati a questo punto non dobbiamo allarmarci più di tanto. I prezzi del cibo sono iniziati a salire, ma la verità è che i nostri magazzini sono ancora ricolmi fino al soffitto di una gigantesca quantità di cibo spazzatura.
Comunque, bisogna essere proprio idioti per non aver visto i segnali premonitori. Basta guardare a cosa è successo in Giappone dopo l’11 di marzo. Gli scaffali dei negozi sono stati spazzolati quasi all’istante. Non avverrà oggi, e probabilmente non avverrà domani, ma una crisi alimentare da record ci colpirà pesantemente. Cosa farete, tu e la tua famiglia? Sarebbe bene cominciare a pensarci.
Alex Jones
giovedì 28 aprile 2011
20 SEGNALI DI UNA PROSSIMA TERRIBILE CRISI ALIMENTARE GLOBALE
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sabato 23 aprile 2011
Intervista al dott. Filippo Ongaro - L'importanza dell'alimentazione
"Nessun farmaco, nessuna terapia, nessun intervento è più potente ed efficace dell'alimentazione quotidiana per prevenire le malattie e mantenerci in salute".
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giovedì 21 aprile 2011
Chi legge Barnard in questi giorni - soprattutto in riferimento all'articolo del 20 Aprile - può giungere ad una sola conclusione. Se si è dotati di onestà intellettuale, e si resiste alla prima impulsiva reazione di mandarlo a quel paese, si può e si deve giungere alla sola conclusione che: "io posso fare di più, e DEVO fare di più".
Attenzione però a pesare bene le proprie future azioni, per tutte le ragioni dette in "Lettera aperta a Paolo Barnard" e "Stream of thoughts".
Questa, almeno, è la mia opinione.
martedì 19 aprile 2011
Stream of thoughts e soluzioni - La rete di imprese sociali
È l’una e zero uno – per gli amanti dei numeri – accendo il pc. Voglio finire di leggere l’ultimo aggiornamento di Barnard (15°) che avevo iniziato la sera prima. Carico la pipa e l'accendo. Il mio zippo non funziona, cioè funziona, ma non propriamente.. storia lunga. Ora ho finito il tabacco – Borkum Riff Original, ottimo tabacco sebbene sia il primo e l’unico che abbia mai fumato - domani dovrò comprarlo. Vado sul sito di Paolo, trovo un articolo fresco di giornata; bene, penso, ha ripreso a scrivere regolarmente.
Faccio i primi tiri, i migliori. Comincio a leggere.. Oh no, ancora su quanto sia inutile scrivere da un pc, quanto sia inutile il mero informarsi ecc. Concordo, certo, penso che ha ragione, che è logico; non serve assolutamente a nulla informarsi e basta, così come non serve a nulla manifestare e basta, e parlare o scrivere solamente. È logico. Continuo a tirare, ora un po’ nervosamente, non capisco dove voglia arrivare. Proseguo. Leggo che i seguaci di Saviano, Travaglio e Grillo sono dei deficienti, che i ringraziamenti che riceve lo irritano solamente, merda. Quasi mi ustiono con il fornello, che nel frattempo è diventato quasi incandescente.
È vero, i personaggi citati parlano di cose quasi irrilevanti a confronto di quelle che in questi ultimi mesi sta scrivendo Paolo, ma non credo che sia di qualche utilità chiamare “deficiente” un deficiente. Tra l’altro non credo che le persone che seguono questi personaggi lo siano, deficienti. Credo che siano semplicemente delle persone alla ricerca di soluzioni per migliorare il contesto in cui vivono, e che agiscano sulla base delle informazioni di cui dispongono. Sarebbero dei deficienti se dopo aver letto certe cose, e riflettuto su di esse, tornassero alle loro “lotte” contro Berlusconi &co.
Partiamo da questo presupposto: da soli non si possono fare rivoluzioni.
Volenti o nolenti chiunque voglia mettere in piedi un progetto ha bisogno di altre persone.
Tra parentesi, quanto appena detto non è sempre vero. Credo, infatti, che per cambiare le cose – o fare una rivoluzione, come preferite – serva avere il “potere”.
Ora, questo potere può essere di tre tipi: 1.Militare – 2.Economico – 3.Sociale.
Scartiamo a priori quello militare, visto che dei semplici cittadini non avranno mai quel tipo di potere, e nel XXI secolo non ci sono Rubiconi da attraversare. Verosimilmente è da scartare anche il secondo tipo di potere, quello economico, in quanto nessun cittadino comune ha immensi capitali da poter investire. Rimane il potere sociale, ovvero la capacità di costruire intorno alle proprie idee o progetti un consenso che permetta a quelle idee e progetti di diventare realtà.
Qui torniamo al solito problema: non basta volere qualcosa per averla realmente, bisogna analizzare e pianificare l’azione affinché dia il risultato sperato.
È il discorso della comunicazione, già affrontato in “Lettera aperta a Paolo Barnard”.
Concludo ricordando una cosa a chi legge: agire “contro” serve a ben poco; agire pensando che il cambiamento possa arrivare da qualcun altro, serve a ben poco (es. manifestare per le morti bianche, contro la mafia ecc. aspettandosi che “chi di dovere” faccia qualcosa). L’unica cosa sensata da fare – a mio avviso – è creare il cambiamento che vogliamo, ma crearlo in prima persona senza demandare niente a nessuno. Quindi l’unica cosa sensata da fare è aprire il capitolo delle soluzioni.
Personalmente ho in mente un progetto preciso, su cui ho già iniziato a lavorare – pur essendo ancora alla fase di analisi. La soluzione che per vari motivi considero come la più sensata ed efficace è la creazione di una rete capillare di imprese sociali che sopperiscano – per iniziare – a tutti i bisogni primari di chi lavora al loro interno o le sostiene da fuori: cibo, casa, energia, lavoro. Il fine sarebbe la creazione, tramite questa rete, di un’alternativa socio-economica concreta.
Si potrebbe anche pensare di creare un corrispettivo del WIR svizzero per questa rete di imprese, pro e contro, è tutto da analizzare, da discutere appunto.
Questa è il progetto che personalmente porterò avanti e sul quale mi concentrerò; ad oggi non ho ancora sentito un progetto più sensato. Aspetto con curiosità il capitolo sulle soluzioni di Paolo e l’apertura di una discussione costruttiva, obiettiva e razionale in quella direzione.
Ora il fornello della pipa dovrebbe essersi raffreddato, vediamo di riaccenderla.
Davide B.
P.S. Quanto espresso sopra sono opinioni personali, passibili di errori e di critiche (le quali sono anzi caldamente incoraggiate).
Faccio i primi tiri, i migliori. Comincio a leggere.. Oh no, ancora su quanto sia inutile scrivere da un pc, quanto sia inutile il mero informarsi ecc. Concordo, certo, penso che ha ragione, che è logico; non serve assolutamente a nulla informarsi e basta, così come non serve a nulla manifestare e basta, e parlare o scrivere solamente. È logico. Continuo a tirare, ora un po’ nervosamente, non capisco dove voglia arrivare. Proseguo. Leggo che i seguaci di Saviano, Travaglio e Grillo sono dei deficienti, che i ringraziamenti che riceve lo irritano solamente, merda. Quasi mi ustiono con il fornello, che nel frattempo è diventato quasi incandescente.
È vero, i personaggi citati parlano di cose quasi irrilevanti a confronto di quelle che in questi ultimi mesi sta scrivendo Paolo, ma non credo che sia di qualche utilità chiamare “deficiente” un deficiente. Tra l’altro non credo che le persone che seguono questi personaggi lo siano, deficienti. Credo che siano semplicemente delle persone alla ricerca di soluzioni per migliorare il contesto in cui vivono, e che agiscano sulla base delle informazioni di cui dispongono. Sarebbero dei deficienti se dopo aver letto certe cose, e riflettuto su di esse, tornassero alle loro “lotte” contro Berlusconi &co.
Partiamo da questo presupposto: da soli non si possono fare rivoluzioni.
Volenti o nolenti chiunque voglia mettere in piedi un progetto ha bisogno di altre persone.
Tra parentesi, quanto appena detto non è sempre vero. Credo, infatti, che per cambiare le cose – o fare una rivoluzione, come preferite – serva avere il “potere”.
Ora, questo potere può essere di tre tipi: 1.Militare – 2.Economico – 3.Sociale.
Scartiamo a priori quello militare, visto che dei semplici cittadini non avranno mai quel tipo di potere, e nel XXI secolo non ci sono Rubiconi da attraversare. Verosimilmente è da scartare anche il secondo tipo di potere, quello economico, in quanto nessun cittadino comune ha immensi capitali da poter investire. Rimane il potere sociale, ovvero la capacità di costruire intorno alle proprie idee o progetti un consenso che permetta a quelle idee e progetti di diventare realtà.
Qui torniamo al solito problema: non basta volere qualcosa per averla realmente, bisogna analizzare e pianificare l’azione affinché dia il risultato sperato.
È il discorso della comunicazione, già affrontato in “Lettera aperta a Paolo Barnard”.
Concludo ricordando una cosa a chi legge: agire “contro” serve a ben poco; agire pensando che il cambiamento possa arrivare da qualcun altro, serve a ben poco (es. manifestare per le morti bianche, contro la mafia ecc. aspettandosi che “chi di dovere” faccia qualcosa). L’unica cosa sensata da fare – a mio avviso – è creare il cambiamento che vogliamo, ma crearlo in prima persona senza demandare niente a nessuno. Quindi l’unica cosa sensata da fare è aprire il capitolo delle soluzioni.
Personalmente ho in mente un progetto preciso, su cui ho già iniziato a lavorare – pur essendo ancora alla fase di analisi. La soluzione che per vari motivi considero come la più sensata ed efficace è la creazione di una rete capillare di imprese sociali che sopperiscano – per iniziare – a tutti i bisogni primari di chi lavora al loro interno o le sostiene da fuori: cibo, casa, energia, lavoro. Il fine sarebbe la creazione, tramite questa rete, di un’alternativa socio-economica concreta.
Si potrebbe anche pensare di creare un corrispettivo del WIR svizzero per questa rete di imprese, pro e contro, è tutto da analizzare, da discutere appunto.
Questa è il progetto che personalmente porterò avanti e sul quale mi concentrerò; ad oggi non ho ancora sentito un progetto più sensato. Aspetto con curiosità il capitolo sulle soluzioni di Paolo e l’apertura di una discussione costruttiva, obiettiva e razionale in quella direzione.
Ora il fornello della pipa dovrebbe essersi raffreddato, vediamo di riaccenderla.
Davide B.
P.S. Quanto espresso sopra sono opinioni personali, passibili di errori e di critiche (le quali sono anzi caldamente incoraggiate).
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domenica 17 aprile 2011
Intervista a Massimo Mazzucco - La Vera Storia della Marijuana
Fantastica intervista a Massimo Mazzucco sul suo nuovo film-documentario "La vera storia della Marijuana", in cui vengono descritte le numerose proprietà benefiche, per l'uomo e per l'ambiente, della pianta più odiata e criminalizzata della storia.
Nel capitolo delle "Soluzioni" questo argomento non può assolutamente mancare. Buon ascolto.
http://it.1000mikes.com/app/archiveEntry.xhtml?archiveEntryId=227311
Qui potrete ascoltare direttamente l'intervista o, se preferite, scaricarla.
Nel capitolo delle "Soluzioni" questo argomento non può assolutamente mancare. Buon ascolto.
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mercoledì 13 aprile 2011
Una crisi del petrolio comporta una crisi alimentare - L'esperienza cubana e le possibili soluzioni
Visto che in questi giorni le “rivoluzioni” in Nord Africa hanno riportato in primo piano il problema del petrolio, vorrei qui riproporre un documentario di estremo interesse che ripercorre la crisi energetica – e non solo, che Cuba ha dovuto affrontare negli anni ‘90.
Se si dovesse verificare una crisi energetica state certi che la prima conseguenza sarebbe una crisi alimentare.
Cuba ha attraversato una crisi di questo genere, e ne è uscita ricorrendo alla permacultura e rivoluzionando il suo sistema alimentare. Sarebbe il caso di iniziare a sviluppare queste soluzioni anche in Italia, una sorta di prevenzione, perché se mai si dovesse verificare una crisi simile dubito fortemente che riusciremmo ad uscirne come ha fatto Cuba…
Se si dovesse verificare una crisi energetica state certi che la prima conseguenza sarebbe una crisi alimentare.
Cuba ha attraversato una crisi di questo genere, e ne è uscita ricorrendo alla permacultura e rivoluzionando il suo sistema alimentare. Sarebbe il caso di iniziare a sviluppare queste soluzioni anche in Italia, una sorta di prevenzione, perché se mai si dovesse verificare una crisi simile dubito fortemente che riusciremmo ad uscirne come ha fatto Cuba…
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giovedì 7 aprile 2011
Permacultura, ovvero l’amore verso la terra
Si sente spesso parlare di permacultura, ma in pochi sanno veramente che cosa sia. Ecco perché abbiamo deciso di dedicare una serie di articoli alla scoperta di questa fondamentale visione del mondo, che è anche alla base del sistema delle città in transizione.
di Irene di Carpegna
Penso che, come me, molti lettori, condividano l’amore per la natura in tutte le sue manifestazioni e desiderino fare del proprio meglio per preservarla non solo per se stessi, ma anche per le generazioni future.
Si tratta di un’esigenza etica che guida molte aziende agricole italiane a non fare uso di sostanze chimiche di sintesi e a produrre seguendo le regole dell’agricoltura biologica. D’altra parte possiamo renderci conto che anche con i nostri consumi incidiamo sull’ambiente in modo più o meno irreparabile, per esempio accumulando rifiuti non biodegradabili.
Troppo spesso però i movimenti ambientalisti e animalisti ci hanno proposto solo modelli negativi, indicando cioè soltanto cose da non fare e limitazioni che finiscono per ottenere un effetto frustrante e deprimente in chi, desideroso di fare qualcosa, si imbatte in mille vincoli.
Mi è sembrato per questo particolarmente positivo l’incontro con la permacultura, come risposta a questo “cortocircuito” fra il desiderio di tutelare l’ambiente e la legittima esigenza individuale di trarre dall’ambiente sostentamento per sé e per la propria famiglia, nonché reddito dalle attività agricole.
Questo metodo offre, infatti, una maniera moderna e creativa per recuperare il sapere antico delle nostre origini contadine aumentando la redditività del nostro lavoro e contemporaneamente salvaguardando il pezzetto di natura su cui interveniamo, anche grazie a un buon uso della tecnologia e dell’immaginazione.
Esistono dei principi da seguire che sono in gran parte frutto del buon senso insito già in ciascuno di noi, e quindi soltanto da riscoprire.
Vi racconterò pertanto quello che ho imparato dall’insegnamento di Richard Wade, docente della Scuola di Pratiche Sostenibili di San Giuliano Milanese, e fondatore dell’ Istituto di “Permacultura Monsant” di Arbolì in Catalogna (Spagna).
Ma andiamo con ordine, partendo dalla parola “permacultura”, che significa “cultura permanente”.
Questo termine è un’evoluzione del precedente “permacoltura”, cioè (agri)coltura permanente, scelto per indicare un approccio diverso dell’uomo alla natura, non più quello predatorio, tipico delle monocolture annuali, ma collaborativo in modo permanente e duraturo. Un metodo che privilegia la piantumazione di alberi ed erbacee perenni, ricreando un equilibrio complesso che, col passare degli anni, ha sempre meno bisogno di interventi da parte dell’uomo, ed offre sempre più frutti.
È così che da un certo modo di fare agricoltura discende in realtà una “rivoluzione” culturale che coinvolge tutti gli aspetti della vita umana: l’utilizzo delle risorse energetiche, il tipo di consumi da favorire, il modo di costruire e di abitare, lo scambio e l’interazione con gli altri esseri umani, etc. Da qui dunque l’evoluzione del termine “permacoltura” in “permacultura”.
Ora, per vedere in sintesi com’è strutturato questo metodo, non c’è niente di meglio che partire dai 3 principi di base che ne costituiscono l’etica:
1- aver cura del pianeta;
2- aver cura delle persone;
3- limitare il nostro consumo alle nostre necessità;
Bill Mollison, il fondatore della permacultura, aveva scoperto in tanti anni di osservazioni sulle foreste, che insieme alle zone umide, non esistono altri sistemi naturali più produttivi e che qualsiasi intervento umano comporta una perdita di biodiversità e un impoverimento delle risorse. Ha iniziato così a sperimentare tutti i metodi possibili per assecondare la natura in modo da riportarla a distribuire con abbondanza i suoi frutti.
Per praticare la permacultura non occorre certo arrivare a conseguenze estreme come ritornare a vivere nei boschi cibandosi di bacche e coprendosi con pelli di animali selvatici, ma, piuttosto, considerare le conseguenze sull’ambiente di ogni nostra azione e favorire la ricchezza vegetativa naturale in ogni angolo del nostro pianeta, questo sì!
Infatti, la regola cardine della permacultura è: prendersi la responsabilità per se stessi. Se non puoi fare questo, non puoi fare permacultura.
Ed è questa una piccola-grande rivoluzione perché sposta la nostra attenzione dai massimi sistemi – dalle multinazionali che inquinano, dai governi che non fanno le leggi giuste, dai comuni che non fanno la raccolta differenziata dei rifiuti, etc. – per centrare il problema su noi stessi.
Da qui discende un altro principio della permacultura: agisci con e non contro. Questo principio si riferisce senz’altro alla coltivazione, ma anche ai rapporti interpersonali.
I grossi problemi del mondo - il surriscaldamento del pianeta, l’effetto serra, il disboscamento dissennato, la desertificazione, la penuria d’acqua, l’inquinamento ... - esistono, ma finché ci muoveremo soltanto “contro” qualcosa, consumeremo molta energia con scarsi risultati e vivremo troppo spesso con un senso di frustrazione addosso. Occupandoci continuamente di quello che non va, passeremo buona parte del nostro tempo in stretto contatto con i lati peggiori dell’uomo - avidità, prepotenza, mercificazione, violenza, etc. - che suscitano in noi rabbia, indignazione o depressione. Immagazzineremo, cioè, ogni giorno tante esperienze frustranti che metteranno a dura prova le nostre qualità migliori (la tolleranza, la fiducia, l’amore...), indebolendo la nostra pulsione vitale.
La denuncia e la contestazione sono necessarie, ma le proposte alternative molto di più. E come puoi pretendere che gli altri cambino se tu, in prima persona, non cominci?
Se partiamo dalla nostra vita quotidiana, dal nostro piccolo orticello, applicando su noi stessi i nostri principi, ecco che le cose prenderanno una piega diversa.
Se da solo non posso certo cambiare il mondo, posso però cambiare il mio giardino, il mio orto, il mio balcone, il mio rapporto con il vicino di casa, con i miei clienti, con i miei figli, con l’edicolante, con il barbiere... e le mie azioni positive saranno un nutrimento gratificante per me e per tutti coloro con cui ho a che fare. È questa in fondo l’applicazione concreta del principio: avere cura delle persone.
Si può creare così, a partire dai singoli, una rete di contatti in grado di contagiare positivamente sempre più persone. In tal modo, inevitabilmente, più individui si sensibilizzeranno a questi principi etici, meno seguito e meno spazio avranno i governi corrotti, le multinazionali del business, gli inquinatori etc.
Inoltre, collaborando con altre persone su progetti concreti, è possibile realizzare alternative efficienti e positive che possono poi essere replicate altrove allargandone sempre di più gli effetti.
Fonte: ilcambiamento.it
di Irene di Carpegna
Penso che, come me, molti lettori, condividano l’amore per la natura in tutte le sue manifestazioni e desiderino fare del proprio meglio per preservarla non solo per se stessi, ma anche per le generazioni future.
Si tratta di un’esigenza etica che guida molte aziende agricole italiane a non fare uso di sostanze chimiche di sintesi e a produrre seguendo le regole dell’agricoltura biologica. D’altra parte possiamo renderci conto che anche con i nostri consumi incidiamo sull’ambiente in modo più o meno irreparabile, per esempio accumulando rifiuti non biodegradabili.
Troppo spesso però i movimenti ambientalisti e animalisti ci hanno proposto solo modelli negativi, indicando cioè soltanto cose da non fare e limitazioni che finiscono per ottenere un effetto frustrante e deprimente in chi, desideroso di fare qualcosa, si imbatte in mille vincoli.
Mi è sembrato per questo particolarmente positivo l’incontro con la permacultura, come risposta a questo “cortocircuito” fra il desiderio di tutelare l’ambiente e la legittima esigenza individuale di trarre dall’ambiente sostentamento per sé e per la propria famiglia, nonché reddito dalle attività agricole.
Questo metodo offre, infatti, una maniera moderna e creativa per recuperare il sapere antico delle nostre origini contadine aumentando la redditività del nostro lavoro e contemporaneamente salvaguardando il pezzetto di natura su cui interveniamo, anche grazie a un buon uso della tecnologia e dell’immaginazione.
Esistono dei principi da seguire che sono in gran parte frutto del buon senso insito già in ciascuno di noi, e quindi soltanto da riscoprire.
Vi racconterò pertanto quello che ho imparato dall’insegnamento di Richard Wade, docente della Scuola di Pratiche Sostenibili di San Giuliano Milanese, e fondatore dell’ Istituto di “Permacultura Monsant” di Arbolì in Catalogna (Spagna).
Ma andiamo con ordine, partendo dalla parola “permacultura”, che significa “cultura permanente”.
Questo termine è un’evoluzione del precedente “permacoltura”, cioè (agri)coltura permanente, scelto per indicare un approccio diverso dell’uomo alla natura, non più quello predatorio, tipico delle monocolture annuali, ma collaborativo in modo permanente e duraturo. Un metodo che privilegia la piantumazione di alberi ed erbacee perenni, ricreando un equilibrio complesso che, col passare degli anni, ha sempre meno bisogno di interventi da parte dell’uomo, ed offre sempre più frutti.
È così che da un certo modo di fare agricoltura discende in realtà una “rivoluzione” culturale che coinvolge tutti gli aspetti della vita umana: l’utilizzo delle risorse energetiche, il tipo di consumi da favorire, il modo di costruire e di abitare, lo scambio e l’interazione con gli altri esseri umani, etc. Da qui dunque l’evoluzione del termine “permacoltura” in “permacultura”.
Ora, per vedere in sintesi com’è strutturato questo metodo, non c’è niente di meglio che partire dai 3 principi di base che ne costituiscono l’etica:
1- aver cura del pianeta;
2- aver cura delle persone;
3- limitare il nostro consumo alle nostre necessità;
Bill Mollison, il fondatore della permacultura, aveva scoperto in tanti anni di osservazioni sulle foreste, che insieme alle zone umide, non esistono altri sistemi naturali più produttivi e che qualsiasi intervento umano comporta una perdita di biodiversità e un impoverimento delle risorse. Ha iniziato così a sperimentare tutti i metodi possibili per assecondare la natura in modo da riportarla a distribuire con abbondanza i suoi frutti.
Per praticare la permacultura non occorre certo arrivare a conseguenze estreme come ritornare a vivere nei boschi cibandosi di bacche e coprendosi con pelli di animali selvatici, ma, piuttosto, considerare le conseguenze sull’ambiente di ogni nostra azione e favorire la ricchezza vegetativa naturale in ogni angolo del nostro pianeta, questo sì!
Infatti, la regola cardine della permacultura è: prendersi la responsabilità per se stessi. Se non puoi fare questo, non puoi fare permacultura.
Ed è questa una piccola-grande rivoluzione perché sposta la nostra attenzione dai massimi sistemi – dalle multinazionali che inquinano, dai governi che non fanno le leggi giuste, dai comuni che non fanno la raccolta differenziata dei rifiuti, etc. – per centrare il problema su noi stessi.
Da qui discende un altro principio della permacultura: agisci con e non contro. Questo principio si riferisce senz’altro alla coltivazione, ma anche ai rapporti interpersonali.
I grossi problemi del mondo - il surriscaldamento del pianeta, l’effetto serra, il disboscamento dissennato, la desertificazione, la penuria d’acqua, l’inquinamento ... - esistono, ma finché ci muoveremo soltanto “contro” qualcosa, consumeremo molta energia con scarsi risultati e vivremo troppo spesso con un senso di frustrazione addosso. Occupandoci continuamente di quello che non va, passeremo buona parte del nostro tempo in stretto contatto con i lati peggiori dell’uomo - avidità, prepotenza, mercificazione, violenza, etc. - che suscitano in noi rabbia, indignazione o depressione. Immagazzineremo, cioè, ogni giorno tante esperienze frustranti che metteranno a dura prova le nostre qualità migliori (la tolleranza, la fiducia, l’amore...), indebolendo la nostra pulsione vitale.
La denuncia e la contestazione sono necessarie, ma le proposte alternative molto di più. E come puoi pretendere che gli altri cambino se tu, in prima persona, non cominci?
Se partiamo dalla nostra vita quotidiana, dal nostro piccolo orticello, applicando su noi stessi i nostri principi, ecco che le cose prenderanno una piega diversa.
Se da solo non posso certo cambiare il mondo, posso però cambiare il mio giardino, il mio orto, il mio balcone, il mio rapporto con il vicino di casa, con i miei clienti, con i miei figli, con l’edicolante, con il barbiere... e le mie azioni positive saranno un nutrimento gratificante per me e per tutti coloro con cui ho a che fare. È questa in fondo l’applicazione concreta del principio: avere cura delle persone.
Si può creare così, a partire dai singoli, una rete di contatti in grado di contagiare positivamente sempre più persone. In tal modo, inevitabilmente, più individui si sensibilizzeranno a questi principi etici, meno seguito e meno spazio avranno i governi corrotti, le multinazionali del business, gli inquinatori etc.
Inoltre, collaborando con altre persone su progetti concreti, è possibile realizzare alternative efficienti e positive che possono poi essere replicate altrove allargandone sempre di più gli effetti.
Fonte: ilcambiamento.it
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lunedì 4 aprile 2011
Pro legalizzazione
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sabato 2 aprile 2011
LA MARIJUANA CURA IL CANCRO, ANZI NO - di Massimo Mazzucco
Molti ricorderanno l’articolo “Cancro e bicarbonato: è in arrivo l’orda dei camaleonti?”, nel quale avevamo denunciato la clamorosa retromarcia in extremis effettuata da Big Pharma sull’efficacia del bicarbonato nel combattere i tumori.
In un articolo comparso su Repubblica il 28 agosto 2010, si leggeva quanto segue: “Il bicarbonato al posto dei chemioterapici. I farmaci antiacidità, gli inibitori della pompa protonica e persino il bicarbonato, potrebbero sostituire la chemioterapia.” Ma qualcuno doveva essersi accorto della portata di quella affermazione, e poche ore dopo il testo veniva modificato in questo modo: “Gli antiacidi al posto dei chemioterapici? L'altra ricerca riguarda i farmaci antiacidità. Gli inibitori della pompa protonica generalmente adoperati per le ulcere gastriche potrebbero sostituire la chemioterapia.”
Il bicarbonato era scomparso di scena, diventando un generico “antiacido”, e del suo possibile uso come sostituto della chemioterapia non restava più traccia. (Fortunatamente noi avevamo salvato la pagina originale, e potemmo mostrare le due verisoni al confronto).
Ora in America è successa una cosa simile, ma forse ancora più grave, visto che ad essere coinvolto è lo stesso National Cancer Institute, l’autorità federale per antonomasia nella lotta contro il cancro.
Forse in un eccesso di leggerezza (o di onestà?) il 17 marzo scorso compariva sul sito del NCI la seguente affermazione: “I potenziali benefici della Cannabis medica per le persone affette dal cancro includono effetti entiemetici, stimolo dell’appetito, alleviamento del dolore e miglioramento nel sonno. Nella pratica oncologica integrativa il medico curante può raccomandare la Cannabis medicinale non solo per il controllo dei sintomi ma anche per il suo possibile effetto antitumorale diretto”.
Molti sanno già che la Cannabis ha un effetto antitumorale diretto, …
… ma questa era la prima volta che il fatto veniva riconosciuto da un organo federale. Ed infatti sui mille blog pro-marijuana è esplosa una vera e propria festa, poichè un riconoscimento del genere significa automaticamente la rimozione della Cannabis dalla famigerata “Schedule 1” (*), la categoria che in USA raggruppa i composti chimici “ad alto rischio di assuefazione, e senza alcuna utilità medica”, ed una sua nuova collocazione nella “Schedule 3”.
Ma la festa è durata poco. Qualcuno infatti deve essersi accorto …
… che passare la marijuana alla “Schedule 3” avrebbe significato in pratica liberalizzarla per uso medico, e dieci giorni dopo la pagina del NCI è stata corretta in questo modo: “Per quanto non esistano ricerche importanti sulla sua pratica medica, sembra che i dottori che hanno in cura pazienti malati di cancro e che prescrivono la Cannabis medica, lo facciano soprattutto per combatterne i sintomi”.
In altre parole, la capacità antitumorale diretta della marijuana è completamente scomparsa dalla scena.
Ecco la pagina del NCI, come appariva il 17 marzo, e come appare a partire dal 28 di marzo.
Purtroppo per i signori di Big Pharma, il loro intervento in extremis si è rivelato un terribile boomerang, poichè sono ormai dozzine i forum e i blog americani che parlano apertamente di “cover-up” da parte degli enti governativi, e di “smoking gun” sulle loro vere intenzioni.
L’anno prossimo, con le elezioni presidenziali, il movimento per la liberalizzazione tornerà alla carica, ed è probabile che ottenga dei risultati importanti. Ma in ogni caso è ormai evidente che la contraddizione della marijuana non potrà più reggere a lungo. Specialmente quando la marijuana fu abolita – ufficialmente – per la presenza del TCH (il suo compostio psicotropico), e da due decenni ormai il THC è disponibile in farmacia come molecola sintetica.
Massimo Mazzucco
(*) Ecco come la marijuana finì relegata nella famigerata “Schedule 1”, dalla quale non è mai più uscita.
In un articolo comparso su Repubblica il 28 agosto 2010, si leggeva quanto segue: “Il bicarbonato al posto dei chemioterapici. I farmaci antiacidità, gli inibitori della pompa protonica e persino il bicarbonato, potrebbero sostituire la chemioterapia.” Ma qualcuno doveva essersi accorto della portata di quella affermazione, e poche ore dopo il testo veniva modificato in questo modo: “Gli antiacidi al posto dei chemioterapici? L'altra ricerca riguarda i farmaci antiacidità. Gli inibitori della pompa protonica generalmente adoperati per le ulcere gastriche potrebbero sostituire la chemioterapia.”
Il bicarbonato era scomparso di scena, diventando un generico “antiacido”, e del suo possibile uso come sostituto della chemioterapia non restava più traccia. (Fortunatamente noi avevamo salvato la pagina originale, e potemmo mostrare le due verisoni al confronto).
Ora in America è successa una cosa simile, ma forse ancora più grave, visto che ad essere coinvolto è lo stesso National Cancer Institute, l’autorità federale per antonomasia nella lotta contro il cancro.
Forse in un eccesso di leggerezza (o di onestà?) il 17 marzo scorso compariva sul sito del NCI la seguente affermazione: “I potenziali benefici della Cannabis medica per le persone affette dal cancro includono effetti entiemetici, stimolo dell’appetito, alleviamento del dolore e miglioramento nel sonno. Nella pratica oncologica integrativa il medico curante può raccomandare la Cannabis medicinale non solo per il controllo dei sintomi ma anche per il suo possibile effetto antitumorale diretto”.
Molti sanno già che la Cannabis ha un effetto antitumorale diretto, …
… ma questa era la prima volta che il fatto veniva riconosciuto da un organo federale. Ed infatti sui mille blog pro-marijuana è esplosa una vera e propria festa, poichè un riconoscimento del genere significa automaticamente la rimozione della Cannabis dalla famigerata “Schedule 1” (*), la categoria che in USA raggruppa i composti chimici “ad alto rischio di assuefazione, e senza alcuna utilità medica”, ed una sua nuova collocazione nella “Schedule 3”.
Ma la festa è durata poco. Qualcuno infatti deve essersi accorto …
… che passare la marijuana alla “Schedule 3” avrebbe significato in pratica liberalizzarla per uso medico, e dieci giorni dopo la pagina del NCI è stata corretta in questo modo: “Per quanto non esistano ricerche importanti sulla sua pratica medica, sembra che i dottori che hanno in cura pazienti malati di cancro e che prescrivono la Cannabis medica, lo facciano soprattutto per combatterne i sintomi”.
In altre parole, la capacità antitumorale diretta della marijuana è completamente scomparsa dalla scena.
Ecco la pagina del NCI, come appariva il 17 marzo, e come appare a partire dal 28 di marzo.
Purtroppo per i signori di Big Pharma, il loro intervento in extremis si è rivelato un terribile boomerang, poichè sono ormai dozzine i forum e i blog americani che parlano apertamente di “cover-up” da parte degli enti governativi, e di “smoking gun” sulle loro vere intenzioni.
L’anno prossimo, con le elezioni presidenziali, il movimento per la liberalizzazione tornerà alla carica, ed è probabile che ottenga dei risultati importanti. Ma in ogni caso è ormai evidente che la contraddizione della marijuana non potrà più reggere a lungo. Specialmente quando la marijuana fu abolita – ufficialmente – per la presenza del TCH (il suo compostio psicotropico), e da due decenni ormai il THC è disponibile in farmacia come molecola sintetica.
Massimo Mazzucco
(*) Ecco come la marijuana finì relegata nella famigerata “Schedule 1”, dalla quale non è mai più uscita.
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