venerdì 29 marzo 2013

C’è un solo governo possibile, il resto è inganno - Giulio Sapelli

L’economista, storico e intellettuale Giulio Sapelli e l’unica via per evitare il disastro economico, sociale e culturale dell’Italia e dell’Europa: federalizzazione del continente, nuova Banca Pubblica, riforma Bce sul modello Fed, divieto di speculazione finanziaria, tasse al massimo del 35%

di: Pier Paolo Flammini


Probabilmente lui è l’intellettuale (non economista che è riduttivo: ma intellettuale perché economista, storico e anche sociologo nel senso di conoscitore della psicologia umana e sociale, la quale non si piega a direttive imposte) che inserito in un governo potrebbe davvero condurre una battaglia per la “vita” anziché la morte dell’Italia e dell’Europa, oramai in mano ad una banda di scriteriati senza forza. Sto parlando di Giulio Sapelli. E’ anche da considerarsi un moderato, dunque capace di imporre un deciso cambio di marcia senza incutere timore nel mondo produttivo (che sta morendo e che probabilmente si getterà sempre più su posizioni estreme se non ci saranno cambiamenti).

Dunque l’Italia è “col fiato sospeso” (si fa per dire) nell’attesa di un nuovo governo. Ma governo-per-fare-cosa? Non mi interessa chi avrà il potere. Io voglio un governo che faccia sue le proposte scritte da Giulio Sapelli su “Ilsussidiario.net” lo scorso 23 gennaio:

PRIMO TEMPO

Una Banca nazionale a proprietà pubblica per la continuazione dell’attività delle imprese di ogni dimensione e filiera concedendo prestiti alle imprese e non entrando nel loro capitale” per “fondare una banca per lo sviluppo su base nazionale che rastrelli fondi da tutte le risorse esistenti dallo Stato”: questo per impedire la moria di piccole e medie imprese e la perdita di lavoro, “una catastrofe nazionale”. Questo, scrive Sapelli, “implica la riforma radicale dello Statuto della Bce sull’orma di quello della Fed. La banca deve essere uno strumento monocratico”. Inoltre Sapelli incita alla creazione di “imprese cooperative di ogni tipo e in ogni settore, così da creare lavoro, crediti al consumo, beni a basso prezzo, occupazione e lavoro e massimizzare occupazione e non profitto”.

SECONDO TEMPO
“Da ciò deriverà un aumento del debito pubblico: di qui la rinegoziazione essenziale e totale di tutti i trattati europei che non hanno nessuna giustificazione economica e giuridica (…) ne deve derivare l‘eliminazione dei tetti di deficit e dei tetti pluriennali che non hanno altro scopo che imporre un dominio deflazionistico (ovvero una contrazione di salari e stipendi, ndr) teutonico su tutta l’Europa, seguendo le orme di idee economiche già sviluppatesi in Germania alla metà degli anni Trenta e bovinamente accettate da banchieri centrali incompetenti e politici collegati alle grandi banche d’affari che speculano su quelle decisioni”.
Ancora, aggiunge l’economista torinese, “farlo rapidamente implica impedire che l’esplosione dell’euro accompagni l’esplosione umana e sociale che si avvicina; e non si tratta – si badi bene – di scioperi, rivolte, ecc. I lavoratori e la gente comune e per bene sono troppo disillusi, stanchi, anomici per ribellarsi collettivamente: assisteremo ad atti isolati o di piccoli gruppi molto violenti e tutti disperati”.

TERZO TEMPO
Ridefinizione dei poteri del Parlamento europeo eliminando le commissioni e smantellando la burocrazia europea centralizzata. La federalizzazione dell’Europa riporterà agli stati competenze e poteri. Il Parlamento dovrà votare la rinegoziazione del debito pubblico europeo su scala mondiale, eliminando derivati e altri strumenti di distruzione finanziaria di massa secondo le indicazioni già redatte dall’ex governatore della Banca d’Inghilterra Lord King – e da Paul Volcker per il Presidente Obama – e sino ad oggi inascoltate, spezzando in due l’industria finanziaria e tornando in tutto il mondo, e in primis in tutta Europa, alle regole di governance precedenti la famigerata legge Amato in Italia e alle famigerate altre leggi che abolirono il Glass Steagall Act voluto da Roosevelt dopo la crisi del 1929″. Infine la necessità di ridurre le imposte sulle imprese al 35%, ridurre le tasse sul lavoro, introdurre il contratto di apprendistato.

Altre vie non ce ne sono. Purtroppo i nostri politici e l’intera classe dirigente (quasi tutta quella che è sfilata in questi giorni per le consultazioni con Bersani) o sono collusi col potere finanziario, o, nel caso migliore, sono imbottiti di ideologia neoliberista e quindi non riescono neanche a pensare uno scenario diverso dall’attuale follia europea. Banca pubblica nazionale, ripristino del Glass Steagall Act, revisione di tutti i trattati sono concetti estranei persino ai sindacalisti, incomprensibili dalle associazioni imprenditoriali, estranei alla cultura da anime belle della cultura. Ci attendono brutti tempi.

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