Bellissimo documentario di Naomi Klein e Avi Lewis sulla crisi argentina di fine 2001.
Il documentario analizza in modo lucido le cause di tale crisi e le conseguenze che essa ha portato nel paese.
Effettivamente viene da chiedersi quale valore possa avere un documentario che tratta di eventi avvenuti nove anni fa se non quello storico... Personalmente credo che di valore ne abbia parecchio, in quanto ci sono importanti osservazioni e lezioni che possono essere apprese da esso e tornare molto utili.
Senza volermi addentrare in un'analisi dettagliata della crisi e del documentario (cosa che renderebbe questo post illeggibile) vorrei comunque fare tre riflessioni.
PREMESSA
Come detto l'importanza del documentario risiede nella possibilità che ci viene data di poter imparare dall'esperienza (e inevitabilmente dagli errori) dei nostri amici argentini.
PRIMA RIFLESSIONE
1- La prima cosa che mi ha colpito, e che vorrei condividere (con i miei numerosissimi lettori, s'intende..), è stata l'incapacità del popolo argentino di cambiare radicalmente quel sistema che si è dimostrato empiricamente fallimentare oltre che arrogantemente ingiusto (senza parlare dell'aspetto morale logicamente..) e che ha permesso il verificarsi della crisi stessa.
Questa incapacità mi è sembrata palese soprattutto nella parte del documentario in cui i lavoratori della Forjia San Martin dovettero aspettare il permesso di un giudice per poter iniziare la produzione nella "loro" fabbrica (fabbrica occupata dai lavoratori).
Da questo episodio si capisce come quei lavoratori non avessero capito che tutte le parti del "sistema" devono essere cambiate, e che non basta quindi criticare ed opporsi al solo sistema economico e politico per poter avere dei veri cambiamenti.
Se è vero infatti che il sistema economico-finanziario(-monetario) influenza fortemente (per non dire produce) il sistema politico, è altrettanto vero che il sistema politico influenza pesantemente il sistema legislativo-giudiziario (che a sua volta "legittima" l'eventuale uso (spregevole) della forza (polizia/esercito) contro il popolo).
Diventa quindi inutile combattere il sistema economico e politico se poi, quando si ha la concreta possibilità di cambiarli, si accettano le leggi (sistema legislativo) che essi hanno prodotto, trovandosi quindi costretti a giocare secondo le loro regole.
SECONDA RIFLESSIONE
2- Altra riflessione che credo sia degna di nota, riguarda l'impreparazione del popolo argentino di prendere in mano le redini della situazione per poter poi impostare il cambiamento concreto.
Sembra infatti che la "massa" possa essere molto compatta ed agire in modo abbastanza organizzato se c'è qualcosa/qualcuno a cui opporsi o da criticare. Quando invece questo qualcosa/qualcuno viene meno, sembra che ciò che potremmo definire "horror vacui" prenda il sopravvento, producendo una disintegrazione di quel "soggetto" che riusciva prima ad agire come "uno" producendo delle azioni efficaci.
Il venir meno di un "nemico comune" porta quindi alla disorganizzazione e alla nascita di varie organizzazioni che non riescono più a comunicare in modo efficace e trovare un obiettivo comune.
Questo a mio avviso dovrebbe insegnarci che la lotta al "sistema" non va costruita sulla critica e sull'opposizione allo "status quo", quanto piuttosto sull'elaborazione e propaganda della realtà alternativa che potremmo costruire se solo lo volessimo. Questa impostazione comportamentale si è rivelata empiricamente efficace, come dimostrano gli esempi di Gandhi, John Lennon, Martin Luther King, Malcom X e molti altri... ("efficaci" nella misura in cui hanno costretto il "sistema" ad eliminarli fisicamente per evitarne le conseguenze..).
Devo fare due precisazioni a quanto appena detto:
1)La critica e l'opposizione al "sistema" ricoprono comunque un ruolo importantissimo nel tentativo di informare le masse (o il popolo, come volete).
2) Non si può sperare di cambiare qualcosa se non si crea un movimento (o organizzazione, chiamatela come volete) che comprenda al suo interno tutte le critiche al "sistema" e tutte le volontà di cambiamento presenti nella società (che spesso, purtroppo, si concretizzano in mille e più organizzazioni minori, per questo motivo inefficaci), che sia estremamente organizzato e disciplinato (non nel senso militare logicamente), e profondamente radicato sul territorio, agendo (punto fondamentale) comunque come unico soggetto (generando quindi azioni efficaci).
TERZA RIFLESSIONE
3- Un'ultima riflessione (mi scuso per la lunghezza del post. Se siete arrivati fin qui vuol dire che non vi siete fatti scoraggiare dalla lunghezza del post, e vi ammiro per questo), di carattere più pragmatico rispetto alle due precedenti, riguarda il dilemma tra creare un referente politico o meno del supposto "movimento" o "organizzazione".
Premetto che sono al corrente degli interessi che muovono la politica (da me paragonata ad "..uno spettacolo di marionette... tutto molto movimentato e colorito, ma i fili li tira qualcun altro.") e di conseguenza disilluso sulla possibilità che tramite essa si possa produrre il cambiamento che ci auspichiamo e per cui ci attiviamo.
Devo comunque ammettere, per onestà intellettuale, che se quel grande movimento del popolo argentino avesse prodotto in seguito alla crisi un nuovo soggetto politico, in quel modo si sarebbero potuti produrre sostanziali cambiamenti a livello di sistema legislativo-giudiziario (leggi nuove) con importanti conseguenze a livello politico (livello teoricamente già risolto con la nascita del nuovo soggetto, ma si sa.. la prudenza non è mai troppa) e a livello economico-finanziario (oltre che monetario ovviamente). Il tutto in modo "legittimo" appunto, senza dover quindi dover fronteggiare forze di polizia/esercito, eventualità che produrrebbe guerre civili o rivoluzioni sanguinose.
Dal documentario si noterà inoltre come il non verificarsi di questa possibilità abbia portato in Argentina al ritorno delle stesse facce e forze politiche che hanno permesso il verificarsi della crisi stessa.
Quest’ultimo punto riguarda l'eterno dilemma riguardante la possibilità di cambiare la realtà dall'interno del sistema o dall'esterno di esso.
Personalmente non credo che una delle due sia giusta e l'altra sbagliata. Credo, infatti, che quel "movimento/organizzazione" ipotizzato nella seconda riflessione debba perseguire tutte le strade possibili che possono aiutare il concretizzarsi della realtà alternativa proposta. Di conseguenza credo che quell'unico e "omnicomprensivo" "movimento/organizzazione" debba perseguire entrambe le strade in modo tale da pervadere come un virus ogni aspetto del "sistema", combattendolo a tutti i livelli (tranne quello militare ovviamente, sarebbe utopia) e quindi in modo efficace.
Se siete arrivati fin qui a leggere sarò felice di offrirvi una birra o una cena per ringraziarvi e logicamente poter avere un costruttivo dibattito su questi temi :)
Grazie
Ho letto il post con attenzione e pure il video. Sono dell'idea che la nuova rivoluzione debba necessariamente essere quela umana, individuale e indissolubile, ma nel mentre vorrei fare una riflessione. La grande divisione delle sinistre è dovuta soprattutto a una difficoltà nel trovare un linguaggio comune e al nemico, che si moltiplica, e non si trova il modo di arginarlo. Credo che una riflessione iniziale da fare sia quella su capire quali nuove parole possano rappresentare il disagio esistenziale e sociale del nuovo millennio. Mi rendo conto che il discorso è molto ampio, e sintetizzo, ma(con tutto l'infinito rispetto) ascoltare e capire Galimberti non è facile, soprattutto con la formazione scolastica di questo paese. Se la discussione continuerà approfondisco, ma non volevo annoiare.
RispondiEliminaAhimè vedo solo ora questo commento. Non so perché non sono stato avvisato a tempo debito...
RispondiEliminaIl discorso che fai è interessante, d'altronde qualcuno disse che il nome di qualcosa vale più della cosa stessa.
Il linguaggio ha un'importanza determinante nella vita individuale e sociale dell'uomo. In questo caso tu dici che la difficoltà di definire il nemico porterebbe ad un'incapacità di cooperazione. Possibile.
Non vorrei, però, che si continuasse a portare avanti quell'atteggiamento che ho già criticato in passato, e cioè un atteggiamento di reazione ai misfatti del nemico piuttosto che attivo e propositivo.
Piuttosto che concentrarmi sulla definizione del nemico mi concentrerei sulle alternative.
Banalmente: quelle che tu definisci "le sinistre" sono divise perchè non sanno bene contro chi combattere o perchè non sanno per cosa combattere?
P.S. Ben difficilmente discussioni del genere possono annoiare chi si interessa di queste cose, per cui ogni intervento, critica o consiglio è ben accetto! (Solo dal confronto possiamo capire la qualità delle nostre idee).