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giovedì 31 marzo 2011

Lettera aperta a Paolo Barnard

Lettera aperta a Paolo Barnard 31-03-2011

Premessa

Paolo è un giornalista che stimo, sia per i suoi lavori, sia per il tipo di persona che penso essere. Inoltre credo che i suoi ultimi approfondimenti siano fondamentali per capire bene il contesto in cui ci troviamo ad agire e a vivere.




Caro Paolo,

Ti scrivo questa lettera (che immagino leggeranno solo pochi aficionados) in risposta agli ultimi due aggiornamenti sul tuo sito (12° aggiornamento, parte prima e parte seconda).
In questi descrivi il tuo atteggiamento nelle varie conferenze che tieni o a cui intervieni.
Un atteggiamento che, sinceramente, considero controproducente per vari motivi, che elencherò nel corso della lettera.
Per iniziare vorrei utilizzare anch’io la metafora cinematografica, così come hai fatto negli articoli in questione. Il pezzo che propongo è tratto da “Il signore degli anelli – il ritorno del re”, il terzo della saga per intenderci. Il frammento si riferisce all’assedio di una città da parte delle truppe nemiche (per semplificare), le quali erano numericamente di gran lunga superiori ai soldati chiamati a difendere la città. Quando il sovrintendente della città vede le truppe del nemico schierate di fronte alle mura si abbandona alla paura e alla disperazione gridando alle sue truppe di salvarsi, abbandonare le mura e scappare. Prontamente il vecchio e saggio stregone della città zittisce in malo modo il sovrintendente e, prendendo in mano la situazione, richiama le truppe all’ordine e alla difesa della città, motivandoli e incitandoli a combattere.



Qui il frammento del film.
http://www.youtube.com/watch?v=qLpPAz0tz98&feature=related

Ora senza estremizzare, credo che nell’incontro in provincia di Pistoia venerdì 4 febbraio le tue parole ed il tuo atteggiamento abbiano avuto sul pubblico un effetto analogo a quello che il sovrintendente ha sortito tra le sue truppe, se non peggiore.
Tu stesso ti definisci “sterilizzatore di speranza”.

Personalmente credo che questo atteggiamento sia profondamente controproducente. Per un motivo molto semplice: la realtà che siamo chiamati ad affrontare è una realtà socio-costruita. Questo vuol dire che, eccetto la materia in sé, la realtà che esperiamo è determinata dal nostro comportamento.
Credo che questo punto, per quanto banale possa apparire ad alcuni, sia di fondamentale importanza perché permette di capire che senza gli altri (o “l’altro” in generale) non si può sperare di cambiare qualcosa o creare una realtà diversa.
Quindi ogni azione che facciamo nella direzione del cambiamento non può prescindere dall’analisi di come “l’altro” recepirà la mia azione, né dalle conseguenze che la mia azione avrà sull’altro (sempre guardando all’obiettivo: il cambiamento).
In quest’ottica il tuo atteggiamento nei confronti di quei poveracci – che cercavano delle soluzioni o quanto meno dei punti d’appoggio, come naufraghi in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi per non affogare – è controproducente.
Perché un soldato, per tornare alla metafora del film, è utile se è motivato, se crede in qualcosa, e se ha qualcosa per cui combattere; un soldato depresso e abbandonato alle proprie angosce non serve a nulla, se non al nemico.


Concordo con te, Paolo, e ti capisco, quando dici che quel poco di attivismo che c’è è male indirizzato perché si concentra su temi secondari (Santoro, Travaglio ecc.) senza vedere il quadro generale, e che per questo motivo è inutile se non addirittura dannoso. Concordo, ma non è annientando le speranze del prossimo che si rinforza (e tanto meno si crea) l’attivismo sperato (quello “giusto, giusto” per riprendere il tuo pezzo).
Serve gente motivata ad agire per un presente migliore, non disperata per un domani nero.

Per questi motivi credo che l’atteggiamento che hai sia controindicato, perché se da un lato i tuoi lavori sono fondamentali per l’aspetto conoscitivo, dall’altro sono demoralizzanti per il modo in cui li presenti.
Attenzione, non sto dicendo che dovresti metterla giù allegramente, o illudere il prossimo, dico che “se vogliamo affrontare dei titani di questa posta, bisogna organizzarsi completamente in un altro modo. Bisogna organizzare una resistenza altrettanto compatta, disciplinata, capillare, su tutti i territori nazionali”. Parole tue. Parole sacrosante.
Il punto è proprio questo, la creazione di quella resistenza.
Resistenza che dovrà essere formata da centinaia di migliaia di persone – se non di più, non so – e la cui formazione necessita di un’attenta analisi “dell’altro”: del suo comportamento, delle dimensioni che lo influenzano (motivazione, emozione, bisogni e desideri ecc.) e, di conseguenza, di come comunicare con lui nel miglior modo possibile (nell’ottica del fine che ci prefiggiamo).
Ovviamente questo non basta, ma credo che sia comunque necessario.
La comunicazione è il tuo pane quotidiano, lo so bene, ma credo che questa volta tu ti stia sbagliando.

La presa di coscienza non è sufficiente se non è accompagnata da un’analisi degli strumenti di cui si dispone per produrre il cambiamento. Dobbiamo concentrarci sulle possibili soluzioni del problema, sugli strumenti di cui disponiamo, sulla creazione di nuove soluzioni e di nuovi strumenti, su dibattiti e interrogazioni di esperti in quest’ottica. Altrimenti sapremo tutto del killer che ci sta per uccidere senza aver mai ragionato su come poterlo fare fuori.

Ci sarebbero tanti altri aspetti da trattare, ma non credo che sarebbe di una qualche utilità ammassarli tutti insieme ora.

Spero che questo sia solo il primo passo della tua strategia d’azione (far conoscere il vero potere), a cui presto seguirà il secondo, quello incentrato sugli strumenti e sulle possibili soluzioni.
“Poi per le soluzioni apriamo un altro capitolo. Ci sono.” (6° aggiornamento), lo credo anch’io, e spero al più presto di poterle discutere (per poi tentare di applicarle ovviamente) insieme a te e a tanti altri.


Ti ringrazio ancora per il lavoro che fai, è fondamentale.
Grazie.


Davide Baresi



P.S. Quanto espresso sopra sono opinioni personali, passibili di errori e di critiche (le quali sono anzi caldamente incoraggiate).
Spero che si aprano a breve dei dialoghi in tal senso (soluzioni e strumenti) e che in generale si incominci a ragionare e ad agire insieme, uniti dagli obiettivi comuni, smettendo una volta per tutte di fare come i capponi di Renzo.