"Sono tempi di crisi economica. Proprio per questo, può essere importante “rispolverare” la storia recente di un Paese, l’Argentina, che 10 anni fa è stato lo “specchio di dove andrà il Mondo”, come recitava una scritta comparsa sui muri di Buenos Aires durante i giorni delicati e violenti del dicembre 2001. Il processo con il quale l'Argentina è uscita dalla crisi economica si mostra come una nuova strada per governare uno Stato. Ma andiamo con ordine, ripercorrendo la storia. Dopo il governo peronista, che la vide tra le dieci economie più floride del pianeta, l’Argentina a partire dal 1976 sprofondò in una vertiginosa recessione economica sotto ben tre dittature e vari governi pseudo democratici che erano sotto il ricatto del Fondo Monetario Internazionale e degli Usa (dal ’91 il tasso di cambio tra peso e dollaro era fisso). Un modo di governare che ha succhiato fino al midollo le risorse argentine, costringendo i cittadini a vedere i propri risparmi messi in banca portati fuori dal Paese, fino a farla diventare il debito pubblico pro-capite più alto del mondo. Nel pieno della crisi economica del 2001, alcune province raggiungevano il 71% di denutrizione infantile, la disoccupazione reale il 42% e le fabbriche cessavano di lavorare o chiudevano miseramente.
Fu proprio nelle fabbriche - come raccontato magistralmente nel documentario “The Take” (La presa) di Naomi Klein - che si assistette alle prime reazioni, non coordinate ed un po' confuse, che però hanno introdotto un nuovo modo di pensare alla risoluzione dei problemi dell’industria: gli stessi operai, intuendo il clima generale e con gli imprenditori pronti alla fuga col malloppo residuo, occuparono le fabbriche, presero possesso dei mezzi di produzione e si assunsero gli oneri della gestione (ancora oggi, dopo aver ottenuto riconoscimento giuridico, solo poche di quelle hanno dovuto chiudere). Oltre i lavoratori, a scendere in strada furono diversi movimenti: come i “piqueteros”, disoccupati che intrapresero il blocco delle merci come moderno strumento di lotta; o le “caceloras”, donne che battevano rumorosamente le loro pentole con le posate; e tanti cittadini che assaltavano bancomat e ingressi delle banche come unico segno di protesta e di rabbia per aver perso i loro risparmi. Quella che si combattè per le strade delle grandi città argentine nel dicembre 2001 e nei mesi successivi fu una vera e propria battaglia, con le sue vittime (37 morti) e i suoi nemici da combattere nelle Istituzioni (4 governi furono costretti alle dimissioni in poche settimane).
Fino a quando, con l’elezione di Nestor Kirchner e la sconfitta di Carlos Menem (presidente per la decade dal 1989 al ’99), cominciò ad intravedersi uno sbocco e una proposta politica di governo alla gravissima situazione. La politica industriale kirchneriana ha visto la rinazionalizzazione di aziende precedentemente privatizzate. Il provvedimento più importante e coraggioso, però, è stata la dichiarazione del default dell’Argentina per ristrutturare il debito. Kirchner impose un forte sconto sulle obbligazioni (75% circa, con sentenze di condanna da Usa e Germania), rinegoziò contratti con fornitori di servizi, ma soprattutto ripianò il suo debito pubblico con il Fmi: «abbiamo potuto costruire un’Argentina diversa. Abbiamo ottenuto una storica cancellazione di 100 miliardi di dollari di debito privato». Una politica che, sebbene abbia estromesso l’Argentina dai mercati finanziari, ha consentito negli anni 2000 un rilancio dell’economia reale e una risoluzione delle questioni sociali del Paese. Con interventi a sostegno dei consumi della classe media impoverita e dei ceti popolari, questo Stato vanta adesso una crescita annuale dal 7 al 10%, oltre a poste, aerolinee, sistema pensionistico e acqua ristatalizzate. Gli investimenti nella scuola sono del 6.5% del Pil nella scuola (dal 2% iniziale) e a più di un milione di ragazzi delle scuole medie viene fornito un notebook pagato interamente con fondi statali.
La svolta progressista di questi anni, inevitabilmente, non è stata solo economica, ma civile: nozze omosessuali, abrogazione delle leggi di impunità verso la dittatura militare e apertura di migliaia di processi contro le violazioni di diritti umani di quel periodo (1976-1983) che causò 30.000 desaparecidos (giovani oppositori politici "scomparsi"). In politica estera, inoltre, l’impegno su basi socialiste coi Paesi vicini, Brasile e Venezuela su tutti, ha concesso al Sud America di non diventare la fabbrica a basso costo degli Stati Uniti. Un successo che ha trovato conferma anche nell’ultimo esito elettorale del 2011: Cristina Fernandez Kirchner (moglie di Nestor) è di nuovo presidente col 54% dei voti, senza passare per ballottaggi. Nessun Paese al Mondo è il “paese delle meraviglie” e nessun Governo dovrà mai essere esente da vigilanza e osservazione critica, ma l'evoluzione dei fatti storici avvenuti in Argentina, è di sicuro una speranza per chi vede uno sviluppo diverso per il futuro del Mondo."
tratto da: http://liniziativa.net//news/?id_news=1160&Crisi+globale%3A+il+caso+Argentina%2C+10+anni+dopo+&path=17
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