mercoledì 4 maggio 2011

Intervista a Osama bin Laden - quello vero.

(Pubblicazione originale del 22.11.2007)

di Massimo Mazzucco

L’appuntamento era in un bar del centro, alle 7 di sera. Un uomo vestito di chiaro, con un distintivo colorato all’occhiello, mi attendeva seduto su uno dei primi sgabelli, vicino all’ingresso.

Non appena mi diressi verso di lui scese dallo sgabello, mi strinse la mano, e mi invitò a seguirlo fuori dal bar.

- Quindi lei è interessato a parlare con il Signor bin Laden... – mi disse camminando svelto.

- Certo. Purchè sia quello vero... – risposi io con malcelata ironia.

L’uomo mi guardò di traverso, come se non avesse capito la mia battuta.

- No, dicevo, siccome ultimamente ne abbiamo viste diverse versioni ... – farfugliai in qualche modo. Ma l’uomo rimase assolutamente serio.

- Lei vuole incontrare Ushama bin Ladin – disse rimarcando l’esatta pronuncia araba del nome - della famiglia saudita dallo stesso cognome, giusto?

- Certo, lui.

- Si accomodi allora - mi disse, invitandomi ad entare nella hall di un grande hotel ...

... davanti al quale stavamo passando in quel momento. Io rimasi stupito, ma a quel punto non dissi più nulla. L’uomo mi condusse lungo un paio di corridoi, fino ad un piccolo ascensore celato in un angolo poco visibile, che ci portò fino all’ultimo piano dell’albergo.

- Il Signor bin Laden vive qui da molto tempo. Non esce mai dalle sue stanze.

- Beh certo, non credo che farebbe molta strada, senza essere notato ... - azzardai io.

Nuovamente l’uomo mi guardò come se non avesse capito la mia battuta. Infilò una scheda magnetica nella serratura dell’unica porta che c’era in fondo al corridoio, la aprì, e mi fece segno di entrare davanti la lui. Mi fece poi accomodare nell’ampia sala silenziosa, dove rimasi in attesa, da solo.

I rumori della città erano improvvisamente lontani, ovattati. Mi guardai in giro, incuriosito, alla ricerca di qualche dettaglio significativo, ma non notavo nulla di particolare: l’arredamento era informale, un misto di antico e moderno, con pezzi di buona qualità ma senza una scelta stilistica precisa.

Si aprì una porta alle mie spalle. Mi alzai e mi voltai, ma mi trovai di fronte ad un uomo che chiaramente non era bin Laden. Più solido dello sceicco, e di statura chiaramente inferiore, avrà avuto una cinquantina di anni al massimo. Vestiva all’occidentale, aveva i capelli scuri e folti e portava dei baffetti sottili, senza la minima ombra di barba. Portava in paio di occhialini con montatura di tartaruga, e solo quando mi sorrise, stringendomi la mano, ebbi per un attimo la sensazione di rivedere un volto familiare.

Si accomodi - mi disse l’uomo con voce pacata, mentre si sedeva di fronte a me.

Ero talmente interdetto dalla sua presenza che non riuscivo ad aprir bocca. Lui colse in pieno il mio stupore, e mi chiese:

- Lei aveva chiesto di incontrarmi, vero?

- Io avevo chiesto di incontrare Osama bin Laden... – puntualizzai.

L’uomo allargò le braccia, come per dire “nessun problema, allora”, e poi aggiunse con un sorriso:

- Sono a sua disposizione.

- Ma... - esitai io - forse si tratta di un caso di omonimia, ma io cercavo...

L’uomo mi guardava incuriosito, sorridendo gentile.

- Cioè, la persona che pensavo di incontrare era molto diversa.. nel senso che ...

- Che io sappia, esiste un solo Osama bin Laden – disse ricalcando l’esatta pronuncia usata dal personaggio che mi aveva condotto da lui - e quello sono sicuramente io. Glielo posso garantire.

Mi guardai in giro, spaesato, e solo allora mi resi conto che nella stanza non vi era nulla di “attuale”, di recente, come un quotidiano, una rivista, o qualunque altra cosa che potesse aiutarmi a chiarire in qualche modo la faccenda. Mi venne allora in mente che avevo appena acquistato un paio di settimanali, e allungai la mano nella mia borsa per prenderli, dicendo:

- Mi scusi, mi permetta solo un attimo ...

L’uomo continuava ad osservarmi incuriosito, mentre sfogliavo a caso uno dei settimanali, senza nemmeno sapere bene cosa cercare. Fortuna volle che trovassi un servizio che parlava proprio di terrorismo, e che portava anche, inserita in un riquadro, una foto di bin Laden. Non era grande, ma il volto si vedeva abbastanza bene.

Ecco – dissi passandogli la rivista – questa è la persona che intendevo io.....

L’uomo guardò l’immagine per un solo istante e poi disse:

- Ma questo è Khamir, mio cugino! Non mi dica che si va spacciando per me, adesso!

- Veramente - azzardai – lo va facendo da quasi sette anni. Anzi, da prima ancora del 2001.

L’uomo mi restituì la rivista con una scrollatina di spalle, come se la cosa non lo interessasse più di tanto.

- Mi deve perdonare – disse – ma io vivo chiuso qui dentro da più di quindici anni, e non so assolutamente più nulla di quello che accade nel mondo esterno.

A quel punto lo stupore si doveva essere stampato sul mio volto in maniera indelebile, poichè l’uomo cambiò atteggiamento, dicendomi:

- E’ stata una scelta personale, sia chiaro. Nessuno mi ha obbligato. Ho fatto questa scelta per poter intraprendere un percorso di ricerca spirituale, e ho sentito il bisogno di separarmi prima completamente dalle questioni mondane.

Vedendo che il mio stupore non si placava, l’uomo continuò:

- Guardi che non è mica necessario ritirarsi per forza in una grotta a meditare, per arrivare all’illuminazione. Anzi, quello è un metodo sicuro per farsi venire i reumatismi. Io fortunatamente disponevo dei mezzi per farlo con un minimo di comfort, e non vedo perchè avrei dovuto rinunciarvi, no?

- Sì sì, no, certo. Quindi, lei vive chiuso qui dentro da quindici anni?

- Quasi sedici, per l’esattezza.

- Ma scusi... la televisione? I giornali...? Come fa a non sapere...

Fece un gesto con la mano, come a spazzare via ciò che non serve.

- Ah! L‘ultima volta che vidi un televisore acceso fu all’aeroporto di Zurigo, credo. Ma non ricordo nemmeno cosa stessero trasmettendo, ad essere sincero. Ricordo piuttosto i volti inebetiti della gente che lo guardava, quelli si. Ma io già da tempo avevo smesso di seguire la TV e leggere i giornali. Sono cose per chi ancora si interessa degli affari del mondo, quelle.

- Capisco – dissi mentre cercavo di dare un senso a quello che mi diceva. – Se quindi io, ad esempio, le dico “undici settembre”, per lei non significa nulla?

- Certo che significa qualcosa. L’undici settembre, se non sbaglio, fu la data in cui gli americani fecero il colpo di stato in Cile, no?

- Ah sì? – dissi io, del tutto spiazzato – Questo non lo sapevo.

- O forse lei si riferisce ai massacri di Sabra e Chatila? Anche quelli accaddero in quella data, se non ricordo male.

- Beh, diciamo che l’undici settembre di qualche anno fa, il 2001 per essere precisi, è accaduto un fatto molto importante, che da allora condiziona praticamente tutto quello che accade nel mondo.

- E lo hanno fatto gli americani, anche quello?

- Questo non si sa, ancora non lo si è capito bene. Il problema è che dicono tutti.. in realtà dicono che sia stato lei, ed era per questo che volevo....

L’uomo esplose in una risata che riecheggiò nella stanza per un tempo che mi parve infinito. Una volta ripresosi, allungò una mano per toccare il mio avambraccio, dicendomi con tono complice:

- Vorrà dire Khamir, casomai!

- Beh, insomma, diciamo l’uomo che si vede in quella fotografia, ecco.

- Certo che è Khamir, si fidi. L’ho riconosciuto a prima vista. E cosa avrebbe fatto di così terribile il mio caro cugino?

- Beh, raccontarlo in due parole non è facile. Se lei davvero non sa nulla di quello che accade nel mondo....

- Caro amico – mi disse interrompendomi con grazia - mi permetta un piccolo atto di presunzione: se ho deciso di disinteressarmi delle cose del mondo non è perchè le sentissi estranee a me stesso, o mi risultassero in qualunque modo incomprensibili, ma per l’esatto contrario: arrivati ad un certo punto si scopre che le cose non è più necessario conoscerle, perchè già le sappiamo. Dentro di noi, sappiamo già tutto quello che serve sapere, ma fino ad un certo punto della vita non sappiamo di saperlo, e quindi continuiamo a cercarlo fuori di noi, nel mondo esterno.

Si sporse un pò in avanti e abbassò leggermente la voce, come a rivelarmi un piccolo segreto:

- Il mondo si comporta secondo schemi e meccanismi eternamente identici a se stessi. Cambia la forma, cambia l’aspetto esteriore, ma la “struttura” degli eventi, ovvero l’interrelazione fra gli elementi che contribuiscono a creare quel tipo di evento, è sempre la stessa.

Tornò a sedersi all’indietro, in una posizione più rilassata.

- Visti da fuori cambiano i volti, cambia la situazione, cambia il momento storico, ma le forze – disse sottolineando il termine – “le forze” che agiscono nelle diverse situazioni sono sempre le stesse. E una volta che hai imparato a riconoscerle....

Ci fu un momentaneo silenzio, poi io dissi:

- Quindi lei mi sta dicendo che può benissimo immaginare cosa è successo l’undici di settembre del duemilauno, senza saperne nulla di preciso?

- No, certo che non posso. Come farei? Mica faccio l’indovino, di mestiere. Le posso però dire questo: qualunque cosa lei mi racconti, non potrà mai stupirmi più di tanto.

- Nemmeno se le dicessi che le Torri Gemelle di New York sono state abbattute? E che oggi non esistono più?

- E perchè mai dovrei stupirmi, scusi? Anzi, da quel che ricordo erano due giganti costosissimi da mantenere, tecnicamente obsoleti, e inoltre con il loro perimetro bloccavano il traffico in tutta la punta Sud di Manhattan. Era ora che le togliessero di mezzo, casomai.

- Certo che le hanno tolte di mezzo, ma .....

- Mi sembra pure che fossero piene di amianto, se non ricordo male, e nessuno voleva assumersi l’onere di farlo rimuovere, perchè costava troppo.

- ... esatto – ripresi io – Ma è il modo in cui le hanno tolte di mezzo, che forse lei non conosce. Vede, le Torri Gemelle sono state colpite da alcuni dirottatori arabi, che hanno sequestrato degli aerei per condurli a sbattere contro di loro....

- Glielo ho già detto – mi disse intrerrompendomi nuovamente con grazia - non mi interessa l’aspetto formale delle cose, il “come” è accaduto un certo evento. Quello che conta è “cosa” è accaduto, il risultato finale. Le Torri davano fastidio? Sì. Sono cadute? Sì. E ora non danno più fastidio. Il succo della faccenda è tutto lì.

- Se è solo per quello - aggiunsi io - in seguito a quei crolli sono stati incolpati dei musulmani, cioè suo cugino, insomma, lui e i suoi uomini di Al-Queda, e quindi gli Stati Uniti hanno invaso l’Aghanistan....

- Ecco, vede, meglio ancora: avranno preso due piccioni con una fava. Lasci perdere i “quindi” e i “siccome”, mi creda, e si limiti al fatto compiuto: se gli Usa hanno invaso l’Afghanistan, vuole dire che avevano un motivo per farlo, e quello di certo non vengono a raccontarlo a lei.

- Beh, in realtà lo hanno pure detto, il motivo: era per catturare lei, cioè, suo cugino, e per fare fuori gli uomini di Al-Queda.

. Ma cosa sarebbe questa “alqueda”, mi scusi?

- Al-Queda è l’organizzazione terroristica che coordina tutti gli attentati islamici nel mondo.

- Addirittura! – commentò quasi divertito – E che cosa vorrebbero dal mondo gli “islamici”, con tutti questi attentati?

- Niente di particolare, a quanto pare. E’ una questione culturale, dicono. Semplicemente ce l’hanno con noi, perchè ci ritengono degli infedeli....

- “Con noi” chi, scusi?

- Con tutti noi. Con l’occidente, con il capitalismo, con il consumismo, con il cristianesimo...

- E siccome ce l’hanno con l’occidente fanno gli attentati? Cosa vogliono, secondo lei, distruggerlo tutto con un’esplosione alla volta?

- Non è “secondo me”, mi scusi. E’ secondo.. tutti. Secondo i giornali, secondo le Tv, secondo .. quello che tutti sanno insomma.

- Certo, certo, mi scusi. Ma mio cugino cosa dice in proposito? Non sarà mica così imbecille da....

- Lui non dice niente, perchè in realtà non si trova. Sono sei anni ormai che lo cercano. Però si sa ad esempio che il suo numero due, Al-Zawiri, ha parlato più volte di una fatwa...

- Al-Zawhari? – mi chiese l’uomo, correggendo la mia pronuncia – Lei sta parlando di Ayman Muhammad Rabaie Al-Zawahri, per caso?

- Sì, credo. Quello che sta sempre accanto a bin Laden, insomma.

- Ora capisco tante cose - disse l’uomo fra sè e sè - Ma lei lo sa chi è Al-Zawahri?

Feci cenno di no col capo.

- Al-Zawahri fu una delle menti che organizzò l’attentato ad Anuar el-Sadat, il presidente egiziano che fu ucciso da un commando durante una sfilata militare. Non so se ricorda....

- Qualcosa, vagamente...

- Fu un tentativo di colpo di stato da parte dei fondamentalisti religiosi, che non amavano la strada pro-occidentale intrapresa da Sadat, e volevano che l’Egitto tornasse sotto la guida del Corano. Ma il colpo fallì, e invece di insorgere accanto agli attentatori, l’esercito rimase fedele al governo. Molti degli attentatori furono così uccisi sul posto, mentre gli altri furono processati e poi messi a morte, uno dopo l’altro. Tutti, meno Al-Zawahri. Secondo lei perchè?

Mi strinsi nelle spalle. Non ne avevo la minima idea.

- Come fa, secondo lei, uno degli ideatori di un’azione del genere a uscirne vivo, una volta arrestato, ritrovandosi addirittura libero pochi anni dopo?

- Ha saltato la staccionata, forse?

- Mi sembra evidente - disse l’uomo con chiaro compiacimento - Si è venduto al nemico, è ovvio. E Al-Zawhari lo fece, guarda caso, dopo aver tradito altri cospiratori che erano riusciti a sfuggire all’arresto. E ora che lei mi dice che compare sempre accanto a Khamir....

- E’ lui che lo manipola, mi sta dicendo? – dissi io, folgorato sulla via di Damasco.

- Me lo sta dicendo lei, in realtà, da quanto mi racconta. Devo riconoscere che Khamir è un gran simpatico, ma non è certo la persona più astuta di questo mondo. E’ sempre stato un idealista, un buono per natura, al punto che basta mettergli un serpente qualunque accanto e gli fai fare quello che vuoi.

- Come ad esempio?

- Non lo so, ma non fatico a immaginarlo. Convincerlo a fare azioni, o dichiarazioni, il cui significato possa poi essere distorto con comodità dai media occidentali, ad esempio. Oppure convincerlo a manovrare quattro disperati in una certa direzione, quando lo scopo ultimo è completamente diverso da quello dichiarato. Oppure, molto più semplicemente, ne hanno “usurpato” il nome, costruendogli addosso il personaggio di cui avevano bisogno, e poi in qualche modo lo hanno fatto sparire. Le possibilità sono praticamente infinite, in casi come questi.

Ci fu un lungo silenzio, nel quale probabilmente ciascuno di noi riorganizzava al meglio le proprie idee. Poi l’uomo disse:

- Mi deve scusare, ma non sono più abituato a questo tipo di conversazioni, e le notizie che lei mi porta non mi rendono affatto felice. Sento anzi che questo incontro mi sta trascinando di nuovo in una zona della mente che ho già scelto da tempo di abbandonare.

Mi dispiace – dissi alzandomi immediatamente – Non era certo la mia intenzione....

- Non si preoccupi, il problema è mio, non suo – mi disse accompagnandomi verso la porta - Sono io che sono “rimasto indietro” con i tempi, questo mi pare evidente.

Prima di congedarmi gli chiesi:

- Mi permetta un’ultima domanda, signor... bin Laden, giusto?

- Vuole che le mostri il passaporto? – mi chiese sorridendo gentile. – E’ scaduto, ma le garantisco che il mio non è contraffatto.

- No, non ce n’è bisogno. Mi fido della sua parola. Mi dica, perchè ha accettato di parlare con me?

- Vuole che le dica la verità?

- Certo - risposi io.

- E’ sicuro che poi non si offende?

- Assolutamente no, glielo garantisco.

- L’ho fatto semplicemente perchè lei me lo ha chiesto. Vede, i miei uomini hanno la proibizione di parlarmi direttamente, per rispetto della mia clausura, ed erano anni che non conversavo più con nessuno. E così ho voluto provare a vedere se ero ancora in grado di comunicare con un altro essere umano. Lei è stato il primo a presentarsi, in tutto questo tempo, e io ho pensato bene di cogliere l’occasione. Tutto qui.

Nuovamente non riuscivo a nascondere il mio stupore, e nuovamente lui lo notò.

- Aveva promesso di non restarci male, però... – mi disse

- No, no, infatti... Ma perchè, lei non riceve mai richieste di interviste? Da parte di altri, intendo dire?

- No, mai. E ora che mi ha raccontato quello che mi ha raccontato, ne capisco anche il motivo. Ci sono altri che parlano per mio conto, evidentemente, e pare che lo facciano molto bene.

- Ma se lei, che ne so, un domani convocasse una conferenza stampa....

- A che scopo, scusi?

- Beh, per far sapere al mondo che lei, cioè che lei non è lei, intanto, e poi che non ha mai fatto quello che dicono che ha fatto, ad esempio.

- Questo dovrebbe casomai farlo mio cugino, nel caso sia ancora vivo. Ormai è lui, ufficalmente, “Osama bin Laden”, ed è lui, a quanto pare, che si è fatto infinocchiare con quel nome addosso. Ma probabilmente non crederebbero nemmeno a lui, figuriamoci quindi se crederebbero a me, che “non ho nemmeno la faccia di bin Laden”. Mi guardi bene, la prego: sono forse io Osama bin Laden? Mi dica, potrei mai essere Osama bin Laden?

Mi resi perfettamente conto di quello che voleva dire.

- Ora che ci penso - dissi - suo cugino ci ha pure provato, a far sapere al mondo che non era stato lui a buttare giù le Torri. Ma nessuno gli ha dato retta. Ricordo che qualche giorno dopo gli attentati si fece intervistare da un giornale pakistano, e disse qualcosa come “la mia religione mi impedisce di uccidere donne e bambini innocenti, e inoltre da qui io non sarei mai in grado di organizzare una cosa del genere. Guardate piuttosto ai vari servizi segreti nel mondo”. Ma la cosa passò del tutto inosservata.

- Certo che passò inosservata. Ormai “era stato lui”, per quel che riguardava il mondo, e non c’era più nulla da fare. Lo aveva deciso chi gli ha teso la trappola molto tempo prima, e poi evidentemente se lo è lavorato con tutta calma. Agitarsi a quel punto diventa persino doloroso.

L’uomo mi strinse la mano con calore sincero, dicendo:

- Non se ne abbia a male, caro amico. Come le ho detto, si tratta di meccanismi enormi, più grandi di qualunque essere umano, che si ripetono identici a se stessi nel corso della storia. Noi siamo solo i burattini occasionali, ma non c’è modo di cambiarne veramente il corso.

- Ma... sono destinati ad andare avanti per sempre, questi “meccanismi”? - chiesi io, leggermente preoccupato.

- No, per sempre proprio no – rispose sorridendo – Diciamo fino a quando l’umanità non avrà imparato a ragionare con il proprio cervello.

- Allora c’è ben poco da fare, temo...

- Non dica così, coraggio! Lei stesso, ad esempio, oggi ha fatto un piccolo passo avanti, o sbaglio?

- Si, ma....

- Ma che cosa? Mi vuole forse dire che gli altri sono meno intelligenti di lei? E allora, sia più ottimista, su! Cominci ad esempio a pubblicare da qualche parte questa mia intervista. Magari non succederà nulla, ma lei il suo dovere lo avrà fatto fino in fondo, e a quel punto starà agli altri decidere se prenderla o meno in considerazione.

Devo confessare che quella sera, dopo aver ricomposto in qualche modo i miei pensieri, e dopo aver cacciato a fatica un montante senso di nausea, provai una strana sensazione di serenità. Durò solo un attimo, ma fu sufficiente a ridarmi la voglia di vivere e di sorridere ad ogni nuovo giorno che nasce sulla Terra.

Massimo Mazzucco

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